“Quello lì?”
“ Un vero lambascione”
In vernacolo pugliese, l’epiteto cola, molle e
cinereo, su un individuo di genere maschile, per nulla attraente, con un che di
stralunata inettitudine. Mi piace pensare che Stefano Benni avesse dentro di sé
l’immagine del lambascione appulo quando
fa dire a Gesù: “Non state lì come coloro che son fessi!”, rivolto ai suoi
dodici discepoli mollaccioni, in "Terra".
Altro che metafora barocca! Chissà per quali arditi, pellegrini traslati
fondati sulle categorie “aristoteliche” di substantia, qualitas, quantitas e
tutto il cucuzzaro retorico, la cultura contadina ha elaborato ingegnosamente la
metafora del lampascione. Il mistero permane.
Certo il bulbo globuloso del
lampascione (Muscari comosum) vive al buio, riparato sotto un bel palmo di
terra. Estratto dal grembo della madre, ha un aspetto misero, sporco, di cosa
di nessun valore. Ci si spiega come abbia preso anche il nome di cipollaccio: l’aspetto è quello del
parente povero della cipolla.
Non ha profumo, se non l’odore
della terra smossa di fresco. Il colore, rosato, appare quando è ripulito della
sfoglia più esterna. Da cotto assume un colore più indefinito che vira dal rosa
al grigiastro. Eppure. Eppure fa parte del sogno di papille nostalgiche che,
emigrate per varie sorti in regioni
senza lampascioni, fanno schioccare la lingua solo a parlarne. E gli occhi
rivolti verso il cielo ad aspettare l’epifania del lampascione celeste, il dio lampascione.
Tra parentesi, se un giorno
dovessi scrivere un libro (!) sulla cucina degli emigranti pugliesi potrei
intitolarlo Il lampascione o della nostalgia. E solo per quel pizzico di amaro...
Avventurandomi su terreni a me
più congeniali dirò che, come il maschio umano spesso accolto, ripulito, educato
e acconciato da amorosi interventi femminili diventa a volte una creatura
affascinante e desiderabile, così il lampascione, raccolto, mondato e cotto a
dovere, diventa una gustosa delizia, proprio come l’uomo suddetto. Non me ne
vogliate. È il caldo…
Lampascioni fritti (a dovere), di
questo vi parlerò finalmente.
500 gr. di lampascioni
Due uova
50gr. di pecorino romano
Sale, pepe q.b.
Due cucchiaiate di pan grattato
Prezzemolo tritato
Sale e pepe
Olio per friggere
Mondare i lampascioni dai residui
di radici e di terra, togliere la prima sfoglia e inciderli a croce alla base. Lavarli
sotto acqua corrente fino a che non siano nettati. Immergerli in una pentola d’acqua
fredda e portare a ebollizione, a fuoco lento, con un paio di foglie di alloro
(ha la funzione di accelerare i processi digestivi e mitigare l’eventuale
meteorismo intestinale; scongiurato se non si abusa dell’assunzione delle frittelle).
I tempi di cottura variano a
seconda della grandezza dei bulbi, ma la prova forchetta, dopo i primi venti
minuti, vi guiderà.
Scolare l’acqua di cottura e
tenere i lampascioni in acqua fredda per alcune ore perché perdano un po’ dell’amaro.
È il loro pregio, ma anche il loro punto debole per chi non ne ama il gusto.
Scolarli e metterli in una
ciotola, disfacendoli leggermente con una forchetta e aggiungervi le uova, il
formaggio, il prezzemolo, sale e pepe, e il pan grattato fino a ottenere un
composto morbido che friggerete a cucchiaiate in olio ben caldo. Disporre man
mano su un piatto ricoperto di carta assorbente.
Altre varianti:
Fritti uno per uno, leggermente infarinati ,
su un crostino di pane di accompagnamento (idea per un aperitivo)
“Arraganati”, cioè disposti uno
accanto all’altro, già lessi, in un tegame e conditi con poco olio, sale e pepe
e gratinati (contorno per agnello, piatto delle feste!)
Semplicemente lessi, conditi come
un’insalata, per una cena frugale d’antan (un pezzo di pane, un piattino-ino di
lampascioni, un bicchiere di vino e basta).
Dimenticavo: il lampascione è
anche un bellissimo fiore primaverile.
Dalle mie parti è pieno! E condivido con te il pensiero, è un fiore bellissimo.
RispondiEliminaInteressantissima digressione sul lampascione pugliese :)
Ciao, Pande!
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