Non so se succeda anche ad altre. La
prima sensazione che mi avvolge, quando metto i piedi su di una spiaggia, è di
soddisfazione: mi sento magra e bella. Un miracolo. Ciò accade nonostante il mio corpo, oltre a
mostrare chiaramente i segni delle molte primavere, sia istoriato da cicatrici
abbastanza evidenti. Ma il problema vero consiste non tanto in quello che la
mano chirurgica mi ha tolto, quanto in quello che la natura matrigna mi ha
donato col sopraggiungere della maturità. Meglio non lo so dire, tant’è.
La sensazione si accresce se, come
capita, si è circondate da donne verso le quali la generosità dell’età si è
manifestata con la stessa opulenza che con me.
Mi guardo in giro: le mie vicine sono
due signore dalle morbide imponenti forme. Però loro sono alte, io piccola. Facile per me vedere in
loro l’epifania duplicata della dea Giunone (siamo in Grecia!): l’una biondo
rossa, l’altra nera come la pece. L’una con la “ricrescita” grigia, l’altra con
il cuoio capelluto cromatizzato (non in senso musicale, ma di colore) dalla
recente tintura. La prima ha una capigliatura folta come una criniera, la
seconda comincia a soffrire la falcidie del capello a opera dell’ammonio.
Nella mia perfidia senile continuo a
sentirmi bella e persino più giovane. Mi sposto all’ombra della grande tamerice
che protende la sua chioma sulla spiaggia. Vorrei evitare un colpo di sole.
È in acqua che avviene il contatto.
Kalimera, dice la biondo rossa, con un sorriso. Ha gli occhiali scuri e un rossetto arancione.
Kalimera, dice la biondo rossa, con un sorriso. Ha gli occhiali scuri e un rossetto arancione.
La bruna è impegnata nella
concentrazione necessaria a superare la barriera del freddo che l’Egeo perfido
innalza a ogni violazione.
Buongiorno, rispondo io senza troppa convinzione
mentre provo due bracciate di dorso. Se riesco a intravedere la punta dei miei
alluci, non affondo.
Non c’è niente da fare. Nel
galleggiamento triangolare (ché nessuna delle tre pare essere buona
nuotatrice) apprendo nomi, provenienza, figli e persino la nostalgia delle
qualità amatorie dei mariti che se ne stanno seduti all’ombra a guardare
l’orizzonte.
In quale lingua? Un goffo
esperanto fatto di cenni, gesti, sorrisi, smorfie della bocca e un miscuglio
inestricabile di greco, italiano, inglese e persino qualche parola di spagnolo.
Il marito di una di loro è stato marinaio con
Onassis, ma battevano bandiera ecuadoregna, io ho una figlia in Messico,
quindi ci capiamo.
Erasmía ed Eufrosíni mi invitano a vedere il
loro studios, ci tengono. Hanno cominciato a chiamarmi ‘agapimù’. Amore mio. Sarà per la
mia statura, farò loro tenerezza, penso.
Seduti tutti attorno al ‘megάlo trapέzi’,
l’unica differenza tra la nostra sistemazione e la loro è appunto il grande
tavolo; io e mio marito ne abbiamo uno piccolo, formato pizza schiacciata o da
bistrot parigino.
Una bottiglia di tè freddo, due
bicchieroni colmi. Io non bevo bibite zuccherate… non scendo nei particolari e
non solo per questione di lingua. Chiedere qualcosa χorίϛ zaχarιϛ (senza
zucchero) per Ery e Sofro (tali sono
diventate) suonerebbe un po’ offensivo.
Ad un tratto le due si guardano, mi
prendono le mani e dicono “OXI, OXI”, scuotendo la testa. Sarebbe “No, No, così
non va!”
Sofro corre in camera e ritorna con un
beauty- case grande quasi come la mia valigia. Tira fuori l’acetone, il cotone
idrofilo e comincia a nettarmi le unghie da residui dello smalto color rosso sangue (incauta
follia prevacanziera da parte mia). Mi arrendo. Devo aver fatto davvero una
brutta figura davanti alle due signore del Pireo. Loro abitano lì, mi dicono
compiaciute.
Siamo ai saluti. Mi offrono una
batteria di bottigliette di smalto dai colori improbabili. Sono costretta a
scegliere. Come si fa a dire di no? “DORA”, regalo! Ne prendo una color
‘lavander’ recita l’etichetta.
Segue un profluvio di efacaristò polì,
xarixa pù sas ghnorisa, grazie tante, piacere d’avervi conosciuto.
A conclusione un duetto sincronizzato
di agapimù. Per me, ché gli uomini in tutto questo carnevale hanno recitato
poco. Anzi nulla.
Ery e Sofro sono partite il giorno
dopo. Io mi sono messa lo smalto dall’incredibile color lavanda. Credo che in
vista del Pireo alzerò le mani in segno di saluto per le mie amiche. Tra il
profumo del mare e il vento che sa di spigo d'antan.
Mmm... non credo tu abbia fatto brutta figura, scusa, ma il rossetto arancione proprio NO! Che bel racconto, grazioso come te, agapimù ;)
RispondiEliminaAgapimù-izzo pure io! E credo che l'improbabile color lavanda sia la sfumatura perfetta per i profili lisci e densi di questa Grecia magnifica. Quanto mi piace leggerti, Marì! :*
RispondiEliminaCorreggo: mi marito, da buon pugliese mi avrebbe fatto 'na chepa tant'. Grazie.
RispondiEliminaPiacevolossimo, elegante. E che splendida immediatezza. Le due signore è come se le avessi conosciute anch'io.
RispondiEliminaUn abbraccio.
Silvia