Quando
Liliana avvertì il dolore, lei e Gigi erano a letto. Se si poteva
chiamare letto l’incerata crepitante su pile di vecchi
giornali, addossato all’inferriata del giardino comunale. Liliana
si toccò la pancia: le trafitture arrivavano di sorpresa, feroci e
determinate come zanne di una belva assatanata.
Cominciò
istintivamente a massaggiarsela con movimenti circolari. Tredici
volte come le aveva suggerito Giuditta. Quella che si dava tante arie
solo perché aveva un carrello e un riparo sul marciapiede davanti a
una farmacia dalle cui vetrate lei seguiva un programma di medicina
naturale, senza soluzione di continuità, zittito solo quando il
titolare calava le serrande. Aveva rimedi per tutto, lei.
-
Solo pubblicità! - aveva replicato Liliana in una delle loro
conversazioni.
L’amica
aveva sgranato gli occhi, sulla bocca una smorfia acida.
E
da quel giorno non si erano più cagate, come aveva riferito Liliana
al suo Gigi.
Il
suggerimento però era aggratis,
quindi lei non aveva nulla da perdere. Ripassò mentalmente le
regole. Liliana faceva sempre un po’ a casaccio. Un massaggio, e da
sola. Bah!
Sdraiati
e mettiti una mano sul basso ventre, sotto l'ombelico si situa il
centro della nostra energia! L'altra mano, di piatto, sopra lo
stomaco. Respirando piano, fai un movimento come le lancette
dell’orologio.
Arrivò
l'attimo di tregua, le allargò il cuore e la mente. La pancia aveva
smesso di ruggire. Le pieghe distese, le nervature allentate. Bene.
Si voltò sul fianco e desiderò tanto riaddormentarsi. Glielo
impediva il ronfare sonoro di Gigi, che al suo fianco, emanava fiotti
di respiro rasposo come bitume fumante. Andava peggio quando il fiato
sapeva di aceto, quello del vino scaduto da tempo, buono per lui.
Liliana
non seppe se fu colpa della sinfonia sgangherata del Gigi o che
altro: si ritrovò sveglia con le mani aggrappate alla pancia, le
dita afferrate alla molle e grossa piega di carne.
-
Gigi, svegliati!
Gigi
tentò una debole resistenza, poi s’alzò. Non è che dovevano
cambiarsi d’abito! Liliana estrasse dal mucchio di carabattole una
bomboletta di deodorante alla rosa, rubato in una specie di bazar, e
se lo spruzzò abbondantemente, sollevando la maglietta di cotone
slabbrato.
-
Che cazzo fai? - le disse Gigi.
-
Dal medico si va in ordine, succedesse qualcosa…
All’accettazione
li fecero accomodare. Liliana piegata in due sul sedile e Gigi
ipnotizzato dalla visione del display sulla parete. Due o tre volte,
lui si avvicinò titubante al vetro dietro il quale c’era la faccia
annoiata dell’infermiera.
-
Dovete aspettare! C’è chi sta peggio.
Gigi
si strinse nelle spalle e ritornò da Liliana. La vide accartocciata
su sé stessa. Dal groppo dei capelli lo spillone di legno sfuggiva
all’architettura pericolante dell’acconciatura. Le toccò la
spalla. Ne ottenne un flebile grugnito.
Finalmente
l’infermiere con la sedia a rotelle la spinse per corridoi
lunghissimi e deserti. Gigi gli caracollava dietro come un brocco
sfiatato. Li lasciò in anticamera ad aspettare la dottoressa. Così
disse l’infermiere, di aspettare.
-
Occhèi
- biascicò Liliana agitandosi e rischiando di cadere: un piede le si
era incastrato sotto la predella. Fortuna che Gigi era lì, ogni
tanto serviva anche lui.
Due
ore dopo Gigi ronfava sulla barella accostata al muro, lei, sveglia,
sulla carrozzella. Per distrarsi Liliana cominciò a guardarsi
attorno, allucinata. La teca della posta pneumatica, le icone
uomo/donna sulla porta della toilette, tre porte chiuse, un divanetto
e la macchina distributrice di merendine e bibite. A fianco la
macchina del caffè. Espresso, espresso macchiato, decaffeinato, non
zuccherato. Cappuccino, cappuccino decaffeinato. Cappuccino al
cioccolato. Ecco, un cappuccio l’avrebbe bevuto volentieri. O una
camomilla? In tasca non aveva un tolino,
e figurati Gigi! Un morto, con la testa all’indietro e la curva
prominente dell’addome disegnata nell’aria. Gli esplorò una
tasca dei pantaloni senza esito.
-
Che bestia!
Liliana
si assopì. Quando riaprì gli occhi, la macchina del caffè friniva,
e un’infermiera occupava il suo campo visivo, impegnata ad estrarre
il bicchiere di plastica, ricolmo di liquido fumante.
-
Scusi, – disse Liliana - e la dottoressa?
-
Arriverà, si metta tranquilla! - E scappò via come se avesse timore
che Liliana potesse chiederle qualcosa, scroccarle qualcosa, per la
precisione.
Liliana
prese a guardare con amorosa persuasione quel ben di dio. Individuò
anche i croccantini, piccoli dischi di pane abbrustolito. Di quelli
che si buttano nella minestra calda e si ammorbidiscono, assorbendo
il brodo. Chiuse gli occhi. Un brodo le avrebbe rimesso a posto la
pancia.
Fu
durante un’altra spasmodica contorsione che Liliana si illuminò.
Aprì la bocca, spalancò gli occhi. Una chiave per l’erogazione
dei prodotti era infilata nella fessura. Piccola, nera, mimetica,
invisibile ma non per Liliana. Fece per alzarsi dalla sedia, ma non
ci riuscì: le sfuggiva da sotto il sedere. Allora con entrambe le
mani diede una spinta alle ruote e arrivò ai distributori.
Febbrile,
estrasse la chiavetta, la reinserì e compose il numero della brioche
all’albicocca. Al diavolo il mal di pancia e alla faccia
dell’infermiera schifiltosa. Mangiò due brioche, un pacchetto di
cracker, uno di noccioline, una bottiglia d’acqua e una coca-cola.
Si spostò leggermente: un bel caffè. Poi ci aggiunse trionfante una
cioccolata. Fu a quel punto che si ricordò di Gigi.
“Credito
esaurito” lampeggiava chiaramente in rosso.
-
Peccato - borbottò Liliana.
Mentre
si scuoteva le briciole dal grembo, si accorse di sentirsi meglio.
Mai stata così bene. Si mise in piedi. Un calore liquido prese a
scenderle tra le gambe. Un fiume catartico. L’urina scivolava
allegra, accarezzandole la pelle delle cosce, dei polpacci. Le arrivò
ai talloni, allagò le scarpe scalcagnate. Liliana ebbe un attimo di
sconcerto, ma si riprese subito. Tirò un profondo sospiro di
sollievo, alzando le spalle e si accostò a Gigi. Lo scosse
energicamente.
-
Andiamo via.
Gigi
aprì gli occhi. A quel comando imperioso non si poteva dire di no.
Quando
la dottoressa arrivò, vide l’anticamera deserta, una sedia a
rotelle e una chiazza sospetta di liquido sul pavimento, proprio
davanti alla macchina del caffè.
-
Ho dimenticato la mia chiavetta - disse l’infermiera sopraggiunta
in quel momento.
-
Capita – rispose seccata la dottoressa e sparì nell’ambulatorio.
Rimasero
le luci di ghiaccio a fare compagnia al silenzio.
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