La ragazza, non
più ragazza da parecchi lustri, un po’ matta doveva proprio esserlo. Le era
preso lo sghiribizzo di scrivere romanzi e racconti, pur sapendo che da secoli
c’era chi sapesse farlo meglio di lei. Non era una semplice constatazione, ma un’autentica,
ben radicata, convinzione, quella stessa persuasione che l’aveva portata a
piangere col principe Myskin e lo sfortunato ‘Toni Malavoglia; per non parlare
degli spasimi di fame che aveva condiviso con Blimunda e persino delle doglie
durante il parto di Sara da Conceição. Non è a dire che i suoi personaggi preferiti fossero sempre così
altolocati: si ricordava bene la preparazione estetica di Angelica al suo
matrimonio col conte di Peirac, quando le donne le avevano rasato il pube per
renderla più seducente sotto le mani del marito. E non aveva nemmeno disdegnato
donna Liala e i suoi aviatori.
Il guaio era che
la benedetta alle sue convinzioni ci
si abbarbicava, le nutriva, le coccolava persino. Ci si affezionava come la
famosa (o famigerata) donna Prassede. Così accadeva che la ricerca del
confronto si dipanava come una sorta di romanzo a tesi: ho ragione io e basta.
E questo accadeva anche quando, con molta meno albagia, infilava un grembiule
da cucina e impastava una semplice focaccia. Guardava e riguardava su youtube
tanti tutorial e poi, borbottando, censurava, si scandalizzava e spegneva
esausta; si potrebbe anche dire già cotta.
Quella ricerca di
saperne di più, di conoscere la manualità e la sapienza altrui diventava
frustrante e anche un pizzico petulante. Autoreferenziale, le aveva detto l’analista
che ogni tanto faceva da bidone (ben remunerato) di scorie per le sue elucubrazioni. Insomma, lo
slogan che cominciò ad amare e fece suo, sopra ogni altra pillola di saggezza oshiana
dei social, divenne quello dello stimato scrivano Bartleby. “Preferirei di no”.
La ragazza era ed è
testarda, vuole spiegare, rendere conto al mondo della sostanza delle sue
strambe idee. Mica riusciva ad arrendersi al fatto di essere lei fuori fase,
fuori catena di produzione. Fuori. Un problema
anche per chi le stava intorno che, guardando la sua crocchia di capelli
bianchi e il viso privo di qualsiasi belletto di compiacenza, sbuffava in
segreto, annuendo ipocritamente alle sue rimostranze.
– Cazzo vuoi,
vecchia bacucca?
Ma lei, la ragazza
non faceva una grinza, pur sapendo cosa si muovesse nell’intimo di qualsiasi malcapitato
interlocutore le capitasse a tiro.
Fu per questo che
andò, invitata e su appuntamento, nella capitale. Sapeva di non dover fare castelli in aria, di
mantenere, come si dice?, un basso profilo. Training autogeno praticato con
diligenza.
Fu molto contenta
nell’apprendere che non avrebbe dovuto sborsare nulla per la stampa del suo
romanzo, ingoiò quel 7% di royaltie, anche le misere 150 copie di stesura e il
vincolo di un anno sui diritti. Increspò le labbra davanti alla condicio sine
qua non: procurare cinque location, preferibilmente non librerie (!?) per le
presentazioni, scosse la testa, ma si ricompose immediatamente.
Fu anche molto
sollevata di alzarsi dall’ incerta sedia di plastica su cui l’aveva fatta
accomodare e abbandonare l’aria di ripostiglio del piccolo locale dove lo sgangherato incontro si era svolto.
Come,
improvvisato?! Dopo tutte quelle mail e le telefonate intercorse tra la ragazza
e il coordinatore editoriale? Sì, tutto improvvisato: la signora (pezzo grosso
della redazione) che fumava seduta sul gradino di accesso al locale (o location?),
il ragazzo (editor) che la signora aveva dato per malato grave (ricomparso dopo una
discreta telefonata) al quale pare fosse stato affidato il manoscritto, il boss
in trasferta chissà dove da giorni…
Per farla breve nessuno
sapeva nulla della ragazza, e nemmeno del suo manoscritto (pdf). L’ editor Tommaso
non aveva letto una parola del testo.
– Ecco, mi ricordi
per favore il titolo e di che cosa parla…
La ragazza fece,
da persona educata, buon viso a cattivo gioco, fu spigliata, simpatica; le
scappò perfino un “cago” e una “masturbazione” parlando della narrativa
ggiovane: risero tutti allegramente.
Fuori l’aria si
era ingrigita, minacciava un temporale.
– Con questo
cielo, il Quirinale dev’essere una meraviglia – disse la ragazza al suo
paziente accompagnatore. La prova provata? Nella foto che la ragazza scattò col
suo cellulare e intitolò: Nubi sul Quirinale.
– Peccato, il mio
Tommaso è più sveglio – fanfugliò tra sé e sé, mentro rovistava nella borsetta, appoggiata a un pilastro davanti a un portone, sotto gli occhi del carabiniere di guardia.
– Cosa stai cercando? Di cosa parli? –
ribatté l’accompagnatore.
– Gli occhiali, cerco gli occhiali – fece lei alzando la voce per tranquillizzare il piantone.
– Gli occhiali, cerco gli occhiali – fece lei alzando la voce per tranquillizzare il piantone.
Arrivarono all’incrocio
delle Quattro fontane.
– Dovrei cambiare
nome del mio personaggio più carino, – continuò assorta la ragazza che mai
avrebbe voluto associare il suo Tommaso a quello sprovveduto procacciatore di
affari, – ma “Preferirei di No”.
E così fu.
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