Tempo perduto o ritrovato
Via il cioccolato, via
il caffè, via tutto ciò che si è attaccato loro addosso col tempo e la
modernità. Qui applichiamo la nobile arte del levare. Levare via gli orpelli,
le aggiunte frivole, gli addobbi stucchevoli. Recuperiamo la parola MOSTACCIOLO:
restituiamo i mostaccioli alla loro primigenia rozza semplicità.
Oggi ce la giochiamo
col latino. Con quel latino rimasto vivido e immediato nelle pieghe dei
dialetti italiani, più forse in quelli meridionali. Nei nomi dei cibi, prima
ancora che nel sapore, affondano le radici del nostro sentire, lì si nasconde
il potere evocativo che partorisce le voglie.
Dicevamo il latino: MERUM donde il pugliese MIR’ (da pronunciare appoggiandosi sulla
r come se ci fosse una vocale, la e muta dei francesi in personne, per esempio); e i suoi derivati: MUST’, M’STACCIUL’, M’STARD’*.
Sono stata chiara? Provate a leggere secondo le indicazioni fonetiche, è
divertente.
Mir’ e must’/M’stacciul’
e ‘m’stard!
Merum per i Romani era
il vino puro, non mescolato. Quello forte e nero
delle uve proveniente dai cipponi dei
terreni aridi e porosi.
Mustum era il mosto,
spremuta di uva non lasciata fermentare.
Mustacea era la
focaccia nuziale impastata di farina e mosto cotto.
Questi i precedenti del
mostacciolo, il dolcetto fatto di mosto cotto e farina e poco altro.
Mostaccioli
Ingredienti:
½ l
di vin cotto (mosto ridotto dalla bollitura a sciroppo)
½
kg. di farina 0 (potrebbe volercene di più, q.b a un imposto molto morbido ma
consistente, non deve scivolare dal cucchiaio)
150
gr. di mandorle tostate (pelate o intere, tritate molto grossolanamente)
Scorza
grattugiata di un limone o di arancia.
½ dl
di olio d’oliva
Cucchiaino
di cannella e/o chiodo di garofano (non lesinate, ché nella cottura gli aromi
si dispendono un po’)
Due
cucchiaini di lievito in polvere vanigliato (o 10 gr. di ammoniaca per dolci)
Un
cucchiaio di zucchero (facoltativo, se assaggiando il vin cotto lo si sentisse
troppo acido).
Procedimento:
Intiepidire
appena il vin cotto, aggiungere l’olio, le spezie, il limone, il lievito e
infine la farina e le mandorle. Amalgamare e lasciar riposare una decina di
minuti l’impasto. Poi, con l’aiuto di due cucchiai farne delle quenelle o
palline e deporre sulla carta da forno, stesa su una teglia. Non c’è bisogno di
ungere la teglia o la carta. Infornare a forno già caldo, 180° per 15’/20’.
I
biscotti sono pronti quando i profumi cominciano a farsi sentire. A caldo sono
molto molli. Non vi fate ingannare dal colore, ché si fa presto a bruciali. Far
raffreddare prima di prelevarli dalla teglia. Spolverare di zucchero a velo
mescolato a cannella, se piace. Aspettare qualche giorno prima di mangiarli:
ritroveranno la loro giusta consistenza e fragranza. Sono i biscotti degli Inferi, scuri e intriganti come Ade. Cereali e vino sugli altari dei Lari. Si fanno a novembre per la ricorrenza dei morti, ma sono i vivi a gustarli.
Abbinamento: frutta cotta in
forno o composta. La composta cos’è? Alla prossima.
*(‘M’stard’, la
confettura d’uva nera, passata al setaccio e arricchita di mandorle tritate)
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