Vorrei avere un nipote. Un
nipote, non fosse altro che per raccontargli lo strano caso di come una gavetta
si trasformò in un paniere di fichi. La gavetta, cimelio del tempo nefasto di quando gli italiani avrebbero dovuto spezzare reni qua e là nei Balcani. Ce la
mostra Ghiorgos (arcangelo gemello di Ghiorgos il vasaio di Manolates)
L’alluminio è alquanto consunto, il manico contorto, il gancio laterale per il
cucchiaio è vuoto, naturalmente. Il monito CREDERE OBBEDIRE COMBATTERE è inciso
a lettere cubitali sul fronte. Immediatamente sopra, proprio al centro, spicca
la scritta epica ROMA DOMA. La guerresca beltà del contenitore di sbobba è illegiadrita
da due tralci fioriti, uno per ogni lato. Sul bordo inferiore si legge
agevolmente XXIV BtG CC.NN. Quando la Storia parla attraverso quella che gli
specialisti chiamano la cultura materiale, i brividi si accrescono, si tocca
con mano. Le sigle non mentono: CC.NN, le camicie nere della Milizia Volontaria.
Noi siamo un po’ a disagio
ogni volta che ci imbattiamo nelle orme della nostra vergogna nazionale. È
davvero imbarazzante a volte essere qui come turisti, in questa terra che
l’Italia fascista volle conquistare per le velleità del capoccione che parlava
da balcone. Marcello, uno dei miei zii, raccontava di come era stato salvato da
due donne greche dopo che per tre giorni aveva bevuto la sua stessa urina per
dissetarsi. Come sarà giunta la gavetta a Samo nelle mani di Ghiorgos
l’albanese? Chi ha intinto il pezzo di pane nella zuppa? Che sapore aveva il
cibo di guerra? Dov’è finito il titolare della gavetta? Nessuno risponderà a
queste domande.
- Che bella la Italìa! – dice
Ghiorgos con il sorriso aperto sulla faccia larga e abbronzata. Allarga le
braccia e accenna “Felicità, un biccero di vino, la felicità”. È il primo
giorno che ci rivolge la parola, mentre aziona la canna dell’acqua sulle piante
di vitla, di pomodori e peperoni dell’orto prigioniero tra le case.
All’imbrunire il giardino arruffato è in ombra. L’uomo non si vede nemmeno,
nascosto com’è dietro il fogliame.
Ci metto un po’ a capire che il
nostro vicino sta intonando la canzone di Albano. Il computer è acceso sul
tavolino, intanto che uno fa la doccia, l’altra prepara la cena e l’altra
ancora è connessa col mondo in rete. La voce di De André si spande con
dolcezza. Viene tacitato, e su You Tube Caterina cerca il video di Felicità. Il
filosofo esce a farci compagnia. Che vi devo dire? Che avreste dovuto semplicemente
guardare la faccia di Ghiorgos in estasi. Tutti gli snobismi cadono
miseramente, canticchiamo insieme. Ghiorgos sa la canzone meglio di me che
seguo il ritmo con uno spudorato lalalà di surroga.
-Io Albània, ecosi cronia edò – il
suo greco si semplifica per noi. Viene dall’Albania, da vent’anni è in Grecia.
Ha due figli, la moglie si chiama Caterina e insieme gestiscono il ristorante
Grigori’s a Kambos. Cibo buono a buon prezzo. Lo spot non ci infastidisce.
Sciorina la sua vita senza mai
abbandonare il sorriso. Sì e no capiamo un quindicesimo di quello che ci dice.
Poi passa a chiederci aggiornamenti di cui non disponiamo: se Romina sia
tornata con Albano, che Albano si chiama così perché suo padre era stato
soldato in Albania. Imbraccia un fucile e fa bum bum. Sembra un bambino che
gioca mentre spara col suo fucile immaginario. C’è della fierezza nel suo
discorso. Nessuna commiserazione, nessun imbarazzo.
Il giorno dopo troviamo sul
muretto una decina di peperoni, tre pomodori e qualche fico.
Sì, al centro dell’orto campeggia
un fico maestoso. Stando agli sguardi carichi di desiderio che lanciamo ogni
mattina verso quei frutti turgidi, appare accettabile l’idea che il frutto proibito
dell’Eden sia stato proprio il fico e non il più famoso pomo. Ma non osiamo
profanare l’albero (stavolta).
Per non indurci in tentazione
arriva Ghiorgos. Quando non ci siamo appoggia i frutti sul muretto. Li troviamo
quando torniamo dalla spiaggia. Solitari e negligenti. Soprattutto meraviglia
il fatto che nessuno li prenda passando per lo stretto atrapòs tra il muretto del
terrazzino e l’orto.
La gavetta è arrivata l’ultimo
giorno di vacanza a Samos. Colma di fichi adagiati su pampini lucenti.
Non abbiamo fatto nulla per
meritarci la benevolenza di Ghiorgos. Restituiamo la gavetta quando andiamo a
cenare, da Grigori’s, naturalmente. Ci aggiungiamo una bottiglia di Limoncello
che ci segue dall’Italia. Al mattino dopo si parte: sul muretto una bottiglia
di vino rosso di Samo. Ghiorgos è stato lì all’alba. Non ci ha neppure
svegliati.
Vorrei avere un nipote a cui
raccontare lo strano caso di come una gavetta si sia trasformata in un
panierino di fichi. Di come tra esseri umani che si guardano negli occhi senza
pregiudizi si può parlare anche mescolando lingue reciprocamente
incomprensibili. Parlare e ridere. Perfino cantare.
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