Gli ultimi giorni di vacanza sembrano
spesso somigliare ai primi. C’è qualcosa di inquieto nel preparare bagagli:
timore di non aver abbastanza, paura di dimenticare. E la voglia di riprendere
il cammino in ogni caso. Rimanere senza libri da leggere è una fregatura che
sormonta l’entità del fatto ed è tutta nella mia inquietudine. Come se mare e
cielo, e persone da conoscere non fossero sufficienti a riempire le ultime ore.
Traccheggio sulla spiaggia, trovo un soggetto da fotografare che mi sottrae al
fulgore di tramonti dispettosi nella loro magnificenza. A mio discarico giuro
che non ho scattato selfie. C’è una piantina che sbuca dai sassi sulla
spiaggia: all’ombra di una tamerice selvaggia e polverosa. Come un bambino vado
e vengo dall’onda per rubarle due volte l’acqua, quella che riesco a trattenere
nel cavo delle mani. Ecco, un secchiello, mi servirebbe un secchiello che non
ho. Devo fare presto. L’acqua scorre tra le nodosità delle mie dita. Rido di
me, ma senza vergogna.
La foto è fatta. Ma non ho nulla
da leggere; il tormento che mi perseguita. Leggere la guida? Il dizionario del
turista in greco? Opzioni scartate. Poi scopro sul comodino il mio lettore
Sony. Qualcuno me l’ha lasciato lì a mia insaputa. Non sapevo neppure di averlo
nelle valigie. In quale borsa ha dormito finora?
Lo accendo, ne scorro i titoli
immagazzinati. Non da me, dal filosofo.
Trovo un Saramago sconosciuto. Un
testo oratorio: “Di come il personaggio fu maestro e l’autore suo apprendista”.
Sono salva. Leggo con serenità ritrovata, nonostante il lettore Sony non offra
una fruizione gradevole.
“Oltre alla conversazione delle
donne, sono i sogni che trattengono il mondo nella sua orbita. Ma sono ancora i
sogni che gli fanno una corona di lune, per questo il cielo è lo splendore che
c’è dentro la testa degli uomini, a meno che non sia la testa degli uomini il
vero e unico cielo”.
Il filosofo è andato a far lavare
la macchina impolverata dal meltemi, dagli sterrati, dalle scorribande per le
strade dell’isola.
Quando torna riceve il mio
abbraccio, gli dico grazie e piango di commozione per le parole immense di don
Josè e un po’ anche di gratitudine per chi sapeva della mia fame e l’ha
soddisfatta. Senza parlare. Le forme dell’amore.
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