Rifletto molto su ciò che mi accade. Dicono che,
invecchiando, si debba guardare al mondo come un portinaio guarda al suo
condominio. Distacco e cinismo. Al massimo qualche frase fatta: d'altronde,
oggi come oggi, da che mondo è mondo. Un portinaio (espungo la portinaia e me
ne fotto del politically correct ), ma dotato di sopracciglio eloquente per
accompagnare le parole con la gestualità e la mimica richieste.
A me accade il
contrario. Esattamente il contrario. Maledettamente il contrario. Aumenta con
gli anni la mia partecipazione al tutto, al formicolio che nel condominio
crepita, arde, si propaga. Potrei andare al giardinetto con occhiali e
Settimana Enigmistica, ma non mi riesce. E se qualcuno mi invita a discutere,
non me lo faccio dire due volte.
Fossi stata portinaia, sarei stata una portinaia
ciarliera, impicciona, attenta, e anche disponibile a offrire un caffè al
signore tignoso del terzo piano, un fazzoletto di carta alla ragazzina, ultimo
piano, che torna in lacrime dal suo appuntamento, una ciotola d'acqua per il
cane dell'inquilino del seminterrato, che impone agli altri inquilini
l'abbaiare notturno alla luna, alle stelle, alle galassie. Ma quanto abbaiano i
cani! Potrebbero essere dei buoni portinai, loro; esattamente come me.
Insomma il brulichio dell'esistenza mi attrae
come una calamita. Allora inzeppo i miei giorni di esperienze che non mi
insegnano granché se non la conferma della mia sete inestinguibile. Io
partecipo: dire un "no, grazie" proprio non mi viene. A volte dovrei
negarmi: io sono irritante, fuori del gregge, io non applaudo facilmente, non
mi sdilinquisco facilmente in cuoricini e baciotti. Se lo spettacolo non mi
aggrada, fischio. Un diritto inderogabile dello spettatore. Se tu reciti da
cane (ossessione canina), io ho il diritto di spernacchiarti. Io parlo con le
mie parole (!): difficili, complicate, fuori tema, ossessionate da cifre
interpretative anacronistiche, riduttive, saccenti. Sarei un riccio senza
eleganza, ispida come una salsola che rotola nei polveroni. Ma quando mai le
portinaie, eleganti! Non corrisponde al cliché del condominio e dei suoi
custodi che pare siano in estinzione dopo la diffusione di quei tastierini
videocontrollati: se vuoi entrare, ti serve il codice; talvolta il
videocitofono è doppio, lo si ritrova nell’ interno all'atrio. Il condominio è
barricato, e il portinaio si estinguerà per lasciare il posto al surrogato
tecnologico.
Dicevo, le mie parole. Usare le parole è impresa
ardua, non puoi mica sbottare (come mi capita sovente) e dire tutto quello che
ti passa per la testa! C'è chi ascolta. Il portinaio si trova davanti il
quieto, l'intelligente, il prudente, il sornione, l'entusiasta, lo sprovveduto
e altre maschere del teatro della vita. (Ognuno provveda a volgere al
femminile, se mai ne avesse voglia). Quindi disciplina, esercizio, rigore. Una
vita passata a temperare matite e a consumare gomme da cancellare. Un lavoro di
scavo, di cernita, di elisioni e prestiti (linguistici of course), sbirciatine sui
dizionari ufficiali, sugli elzeviri delle terze pagine, sui giornaletti rosé ed
osé, sui depliant pubblicitari, ché, come dice un certo Busi, chi sa parlare
può e deve usare tutta la gamma offerta dal mezzo linguistico. Parlare di
mignotte e madonne, per intenderci, senza censure. E se il termine fica
disturba, cazzi altrui! Passare da un linguaggio puro ed eletto a quello da
trivio. Non c'è vergogna nelle parole forti se c'è una motivazione
significante. Epperò le mie parole disturbano. Corre voce che addirittura
lascino sul terreno, al loro passaggio, morti ammazzati. Parole originate da
alcune mie paranoie ossessive. Scorre il sangue, e mi preoccupo. Mi fa impressione.
E mi
rammarico.
Ecco: quand'anche fossi una portinaia, io non potrei che
parlare con tutti i mezzi a mia disposizione, che sono davvero ridotti: dibbase,
da portinaia appunto. Nulla potrebbe rendere le mie parole più blande, più
accessibili, più fruibili dal quieto, dall'intelligente, dal prudente, dal
sornione, dall'entusiasta e, perché no, anche dallo sprovveduto. E anche dal
cane a cui non nego mai la ciotola d'acqua. Io offro quello che ho perché nella
mia mente stereotipata tutta la variabile archetipica umana, a cui prima
facevo riferimento, è della mia stessa pasta. E se così non pensassi, farei
un'offesa a tutti i miei condomini.
E se fossi una portinaia, penserei di avere il
dovere di usarle bene le parole come atto democratico, come riconoscimento che
tutti i condomini sono alla mia bassezza/altezza. E se qualcuno di loro non sa
dove sia la chiave comune dei contatori elettrici, imparerà che è lì, al suo
posto, nell'armadietto dell'ingresso. E imparerà che usarla è un gioco da
bambini. Però curiosi. Non posso trattare nessuno di loro da scemo, scendendo a
un livello inferiore, usando un lessico che non sia il mio. E poi le cose hanno
il loro nome, perlapeppasanta, non si può mica barare e chiamare bicchiere una
caraffa.
La portinaia che è in me direbbe che 'sto mondo
va guardato, nutrito, elevato. Adeguarsi al facile, al più semplice, infine al
peggio è stato il motivo per cui molti figli escono da scuola più asini di
quanto lo fossero prima di frequentarla. Non c'è il dovere di rendersi
appetibili. Chi ha fame, scava e mangia; anche le radici, se è necessario. Si
porterà le mani piene di fango alla bocca e ne assaporerà i sentori del
ferro, della merda; e come dessert, masticherà i petali fragranti di una rosa
damascena, scoprendo i segreti vellutati della matrice dell'essere e
dell'esistere. Residuo dentale interstiziale.
Ma non sono né, credo, sarò mai più una
portinaia (sono condomina, in duplex tra secondo e terzo piano); mi piacerebbe
molto se il mio portinaio mi suggerisse addirittura di leggere e di leggere sempre
con altri occhi, e sopracciglio elastico. E di non preoccuparmi affatto del quieto, dell'intelligente,
del prudente, del sornione, dell'entusiasta e tantomeno dello sprovveduto.
Giacché nella mia percezione loro sono tutti esattamente come me nei diversi
momenti della vita. Io sono gli altri e negli altri, esattamente come loro, e
dovrò imparare anch'io dov'è il maledetto interruttore della corrente
elettrica. Nell'armadietto dell'ingresso comune.
Solo uno come Franco Fortini (ebreo, oggi 27 gennaio, Giorno
della Memoria) potrebbe arrogarsi il diritto di dire:
«Non parlo a tutti. Parlo a chi ha una certa idea
del mondo e della vita e un certo lavoro in esso e una certa lotta in esso e in
sé» F. Fortini, Scrivere chiaro, in Id., Questioni di frontiera,
Einaudi, Torino 1977, p. 125.
P.S. "Se ti metti a fare la portinaia, ti
licenziano subito" dice il filosofo.
Nessun commento:
Posta un commento