giovedì 17 agosto 2017

Cazzeggi senescenti ovvero della moltiplicazione dei Vassili




Uno dei segni più evidenti della vecchiaia, più che il decadimento fisico che si può mascherare in qualche modo, a condizione di avere tanti soldi e di volerlo fare, è lo specchiarsi una mattina e scoprire nel corpo i tratti dei propri genitori. Non solo nel volto, nelle mani, nelle movenze deambulatorie, ma anche in certi atteggiamenti e in certe azioni. E quando si invecchia ti riscopri figlio o figlia in debito per eventi naturali, dovuti al dna, o ai comportamenti che solo l’educazione lascia impressi, talvolta nascosti, ignoti all'io, fino a quando gli anni trascorsi non ti mettono davanti a certezze incontrovertibili.

Gli anni della giovinezza sono una vela al vento. Non ti chiedi quasi mai da dove derivi quella forza invisibile. Si sente e basta. Quel vento, gagliardo e prepotente, spira quasi sempre in direzione contraria: la voglia più grande è quella di allontanarsi, tentando una costruzione originale e alternativa che sia propria, che abbia tratti fortemente individuali non condivisi.

Capita così che i figli quasi mai vogliano fare nella vita quello che hanno fatto padri e madri. Succede anche il contrario, spesso in caso di privilegi ereditari e di conformismo inoculato come estrema difesa del proprio status. Ma qui non voglio fare lodi a Telemanco, a dire il vero non troppo autonomo nelle scelte checché ne dica lo psichiatra di moda, né rampognare Ulisse il viaggiatore o Penelope nella sua fedeltà a quel letto d’olivo deserto da un ventennio. Vorrei solo dire quello che sto provando da qualche tempo su di me: mi scopro sempre più simile ai miei genitori, in un’alzata di ciglio, in una ruga. A volto, se mi ascolto, persino in tonalità di voce. Nel modo di prendere o afferrare gli oggetti o di uscirmene in una battuta imprevista. Allora riscopro anche in me le timidezze di mio padre e l’assertività di mia madre, le mani grandi e nodose dell’uno e la prontezza di reazione dell’altra. Io che di mamma non ho gli occhi azzurri e la carnagione candida e di papà non ho l’altezza della statura e la forza delle membra. Eppure scopro quanto io cominci ad assomigliare a loro.
Sono particolari impercettibili e sfuggenti, ma si sa che da vecchi si gode di più tempo per osservare anche se stessi. E ci si chiede con insistenza chi sei e chi sei stato, se l’immagine di te che hai coltivato sia stata un’operazione del tutto autonoma o se sia soltanto un’elaborazione nel tempo di elementi già insiti, per natura ed “arte” sottoposti alle sollecitazioni del tempo e agli impulsi esterni ed estranei al soggetto. Quanto mi piace quest’agnizione? Devo dire molto.

È per questa eredità d’affetti se mi dedico al recupero delle piante martoriate da meltemi qui nell’isola. Tra queste un povero basilico vittima dell’incuria delle persone e del tempo atmosferico. L’ho trovato ribaltato ai piedi del terrazzino dell’hotel dove soggiorniamo. La padrona dell’hotel mi ha fatto capire che sarebbe meglio che ci pensassi io. Va bene. Così il Vassili spiumato, con le foglie accartocciate dal vento e dal sole, ma con con le cime di fiori pronti a sbocciare, è stato accolto in casa a far compagnia ad altri due Vassili (è il nome della tribù) ben più rigogliosi e protetti.

 È alla medesima eredità d’affetti si deve la presenza nei miei racconti di un qualche straniero da accogliere, da trattare con umanità e senza sdolcinature. È a questa eredità d’affetti che devo l’amore per la vita ovunque e in qualsiasi forma si manifesti, venisse anche dai monti Rifei in groppa all’Ippogrifo. Anche questo ho ereditato: la meraviglia di credere alle favole, quelle che divertono la fantasia, non altre.