lunedì 2 gennaio 2023

Io e il professore

 




Io e il professore

La prima volta che lui entrò in classe, si fece un silenzio glaciale, nonostante l’ottobrata barlettana consentisse alle mie compagne di indossare, sui piedi nudi, vezzosi sandali estivi. Io portavo ancora i calzini corti bianchi. Primo: sembravo di quinta elementare, niente tette, niente culo, gambe da pulcino traballante; secondo: perché non avevo ancora, né mai l’avrei avuta più tardi, l’altezza giusta per le calze velate. Una questione tecnica, alla fine.

 Le mie compagne mi sembravano tutte avvenenti: gambe lunghe, grembiuli neri slacciati da cui sbocciavano tette ardimentose e opimi fianchi di donna. E tinture nei capelli di sedicenni all’assalto del mondo maschile.

Il mio incubo fin dalla prima elementare era rimasto quello di veder spuntare Suor Stefanina che voleva trascinarmi senza scampo fuori del banco nell’inferno dell’asilo, ma non mi sono mai sentita fuori posto. Il liceo (classico) sarebbe stato il mio mondo per cinque anni, ero decisa a esplorarlo con curiosità senza farmi ingoiare nella spirale della sgobbona, a guadarlo con piacere e non con ambizione. D’altra parte l’unica gloria di cui potessi fregiarmi era consistita nell’essere mandata in giro per le classi a leggere i miei temucci e i dieci in latino alle medie; la mia prof del ginnasio mi squadrava, arricciava le labbra a culo di gallina e ingoiava bile e disappunto. I figli, e tanto meno le figlie degli operai, come facevano a tradurre in quel modo? Non era cattiva, voleva solo risolvere un enigma.

Io continuavo a giocare in strada, le mie compagne si preparavano ai veglioni al circolo Unione, (ricettacolo di tutta la borghesia che contava) e confabulavano con una delle prof., loro concittadina, sottraendo tempo alla lezione.

Il prof, dicevo. Arrivò preceduto da una fama sinistra: severo, faccia truce, implacabile. Di statura mediocre (occazzo come me!), bruttino, camminava un po’ dondolandosi sui piedi che aveva piccoli forse troppo piccoli per lui. Vestiva un abito grigio, con cravatta neutra. Sembrò ignorarci dietro le sue lenti cerchiate d’oro. Avrei imparato più tardi che era un finissimo osservatore. Ma nemmeno io ero da meno. Mi faceva ridere il suo tic: quello di storcere il collo e spostare il mento di lato bruscamente, prima di alzarsi e cominciare a spiegare. Nell’ultimo anno smise di navigare per l’aula grandissima in lungo e in largo tra i banchi e, sollevando gli occhiali si avvicinava alla finestra. 

Bisogna alzarsi in piedi per leggere il Padre Dante! Non avrebbe mai denunciato il connubio tra miopia e presbiopia avanzante.

Capii che sarebbe stata una dura lotta tra lui e me. Tra la star del liceo e una sprovveduta pulce che veniva dal paese vicino, dalla polvere della strada.

Il primo duello sotterraneo lo avemmo alla prima versione di Latino. Distribuì i compiti corretti guardando da sopra gli occhiali ciascuna di noi. Non conosceva bene i nostri nomi: nessuno allora si batteva per classi umane, si era allegramente in trentacinque o trentasei.

Ci lesse la traduzione corretta e disse che una sola traduzione aveva capito la funzione di una struttura, e lesse il mio nome. Dovetti alzarmi in piedi.

Cosa fa tuo padre?

Io rimasi stranita. Non capivo la domanda. Anzi in mezzo a figlie di primari, avvocati, presidi e altri notabili mi sentii per un attimo a disagio. Durò davvero un attimo.

Mio padre fa il muratore: la mia voce ferma e chiara attraversò l'aula. Lui incassò senza battere ciglio. 

Non parlava quasi mai di sé, della sua famiglia, cose che tutti gli studenti del mondo vogliono saper (come conferma il grande Canetti ne La lingua salvata), non accennò mai al figlio che frequentava la stessa scuola, agitandosi fuori del portone la mattina nei gruppetti di studenti in attesa d’entrare, non ci disse di essere vedovo o di essersi risposato (le barlettane non erano avare di chiacchiere).

Arrivava in classe senza guardare nessuno, noi ci acquietavamo di botto, e lui iniziava la lezione imperterrito.

C’era chi lo odiava, chi faceva finta di ascoltare, chi avrebbe studiato tutta la notte (se ne vantavano), ma tutte ne avevano terrore.

Io no. Ne ero travolta, affascinata, annientata dal suo parlare perentorio e rivelatore di bellezza. Lui divenne il mio libro. Bevevo da lui come un’assetata nel deserto, come un uccellino l’ultima goccia di rugiada. E ne parlavo a casa, riempivo la testa di mia madre di parole su di lui.

Un giorno, nell’ultimo anno, il Prof sembrò aprire un varco nella sua impenetrabilità umana. Ci disse che aveva dovuto pagare un debito alla cittadinanza: una passeggiata sul lungomare di levante con sua moglie. Sornione, rise per la prima volta di una risata repressa, ci spiegò che quando erano ancora fidanzati, qualcuno raccontava in città di averli visti a braccetto. E che adesso che erano sposati, avrebbero pubblicamente messo a tacere le male lingue su quella passeggiata mai fatta, facendola davvero.

Le barlettane si guardavano sottecchi, qualcuna con la mano alla bocca, i gomiti che si toccavano.

Io capii, non so ancora come, che il discorso sarebbe continuato.

Oggi parliamo di Pirandello!

Mi aveva condotto per mano nella scomposizione delle identità, la faccia che mostriamo e quella nascosta, la faccia che tutti vedono o credono di vedere, il vizio volerci ingabbiare in una maschera e in un ruolo. Il giudizio fallace dei paesani pettegoli. La vendetta era consumata, risolta in una beffa. Non so quanti capirono il senso alto della sua storiella.

Anni dopo in tv vidi Personaggi in cerca di autore, rividi il vedovo, la nuova moglie, in abiti scuri che passeggiavano sul lungomare, come su un palcoscenico, maschere vere, per prendersi gioco della maligna superficialità di qualcuno, per ristabilire una verità.

Il mio Prof era un genio.









































































Il mio prof era un genio.

1 commento:

  1. Ieri a Radio3 Prima pagina hanno parlato del Piano Triennale dell'offerta formativa (con riferimento allo sfortunato caso di un liceo di Faenza)... così ho cercato su scuolainchiaro il PTOF del liceo Leonardo perché mi è venuta nostalgia degli ex colleghi...

    RispondiElimina