Al
Pireo, in Leoforos Vasileos Georgion A, precisamente al n. 838 in prossimità di
Korai Square, si staglia d’un bianco accecante il Dimotiko Theatro. Una
costruzione in stile neoclassico che risale alla fine dell’Ottocento, opera di
un architetto di scuola Ziller. Proprio quello che ha lasciato la sua impronta
in molte città importanti della Grecia. Quattro poderose colonne corinzie,
frontone e timpano. Un imitazione teutonica, nella sua pesantezza, della
maestosa leggiadria dei templi arcaici. Il volenteroso architetto si è
sforzato, ma non ce l’ha fatta.
Sui
gradini di accesso, in pieno sole, staziona abitualmente un mendicante. Le due
stampelle tarlate giacciono abbandonate al suolo. Vestito di stracci, faresti
fatica a distinguerlo da un mucchietto di spazzatura mollato lì da qualche
bastardo maleducato. Il mucchio ogni tanto si anima: due piedi luridi si
protendono sullo scalino sottostante. Le caviglie fasciate di bende color della
terra secca. Non chiede, non implora, non piatisce, ma se ti avvicini puoi
ancora scorgere lame di luce negli occhi verdi in mezzo al grumo unto e bisunto
di capelli e barba. Un’apparizione, una sorta di buco nero su un fondale candido
di cartapesta.
–
Sembra Ulisse – dicevo le prime volte che lo incontravo.
–
Ulisse? – il filosofo mi canzonava.
– Ma
hai presente quando Odisseo torna a Itaca e Atena lo trasforma in un mendicante
per sicurezza?
– Per
me assomiglia più a Iro, quello che sta con i Proci.
Per un
momento penso ai mendicanti di professione, a quegli individui che recitano una
parte abominevole con rara ferocia. Ti si avvicinano, mettono paura. Minacciano.
Qualche passante, pur di liberarsi di un eventuale contatto, si affretta a liquidarli
con una moneta, scansando il brivido dello schifo.
Ci
perdiamo così nella confusione del viale alberato che quest’anno sembra aver
recuperato in vivacità. C’è persino una pasticceria (leziosa) con macarones in
bella vista a fianco di lucide torte pseudo viennesi. Fanno anche il gelato.
Segno di una crisi in recessione? Ce lo auguriamo.
Al
Pireo si esce di sera se non vuoi arrostire. Così facciamo, diretti
all’Arlecchino, un locale che fa cibo greco a buon prezzo. Tavolini in strada, sedie
dal fondo impagliato (che ti lascia i segni delle corde sulle cosce) senza
pretese. Tovaglia cerata a fiori e le posate dentro il cestino sotto il pane.
L’abbaiare
rabbioso è improvviso, supera il rumorio del vicolo, il frusciare delle foglie
e le chiacchiere della gente. Un cane brutto, torvo, con cortissime zampe e
corpo massiccio rincorre qualcuno. Io ho una paura matta dei cani, mi alzo in
piedi, la sedia cade dietro di me. Davanti al cane arranca il nostro Odisseo,
urla di dolore, saltella con le stampelle, le fasce alle caviglie si srotolano.
Il cane morde, lui cerca di sottrarsi ai morsi. Una stampella rimane per
strada.
Nessuno
dei passanti, numerosi, interviene ad allontanare il cane, qualcuno ride e
sogghigna come davanti a una scena comica usata. Il Teatro degli Indecenti,
direbbe Sabbath.
La fame
ci è passata.
Intanto
la luna, come una focaccia di patate, sale alta nel cielo dietro il Dimotiko
Theatro. A lei non importa che Odisseo non sia stato riconosciuto dal suo Argo,
è indifferente, come tutti, alle urla di dolore del mendicante che fugge e
forse è riuscito a mettersi al riparo in qualche androne, solo perché la bestia
ha rinunciato a inseguirlo. Come avesse difeso il territorio, come avesse
scacciato un rivale, come fosse stato addestrato da qualche bottegaio
spocchioso all’impresa. Chissà.
Ora il
Teatro è tornato alla sua vita di cartolina. Una di quelle cartoline
malinconiche, congelate nella lucentezza della superficie, priva di vita vera. Ma
è difficile resistere alle cartoline, io stessa ne ho spedite due. Due
soltanto, però.
… continua
Nessun commento:
Posta un commento