Erano le dieci di mattina, di
gennaio. Fu la sua epiglottide a palesarsi per prima. Sì, la prima volta che la
vidi, urlava come una dissennata. Aveva
il naso schiacciato e la bocca aperta come la pestifera creatura di Quino.
Eccoti qui, pensai guardando la sua bocca sdentata. Le dissi brutta, mi ricordi
mia suocera. Che brutta non era, anzi. In quel brutta celai la tentazione della
retorica, mia nemica numero uno. Non mi sdilinquii nella sequela di
vezzeggiativi che fuoriuscivano di norma come prolungamento placentare amore che meraviglia, la bambina più bella
del mondo, tesoro impareggiabile, una bambolina ecco, una bambolina, chiccolina di mammina tua e simili.
Pensavo è finita, sono viva. Sedici ore di travaglio, di tribolazione, di lavoro
duro, molte di più delle otto ore della fabbrica. Se otto ore vi sembran poche… Fui
rimproverata dall’ostetrica, non si dice brutta!
Il ginecologo a un certo punto mi
era salito sulla pancia dopo avermi bombardata di ossitocina: aiuta le
contrazioni, stia tranquilla. Tranquilla un cazzo… ops, non si dice, ci sono i
bambini, pardon la bambina.
La rividi il giorno dopo. Si
mangia, cioè no, si poppa. Stesa nel letto e di fianco a una micetta (ahi, ci
sono cascata) di tre chili e duecentocinquanta grammi attaccata al capezzolo. Dieci
minuti e si cambiava attacco. Io ero scomodissima. Allora presi l’infante, la
sistemai al centro del letto e misi il cuscino sulla sedia. Quindi la presi in
braccio e mi assisi con lei come una madonna con bambino. Ciucciava senza
convinzione e dopo pochi minuti si addormentò. Non ci fu verso di svegliarla né
con la dolcezza dello sfioramento della guancia né con una più rude scossa sul
culetto adeguatamente protetto. Nulla, continuò a dormire. Io la tenni lì, rimasi
a guardare questa gattina che arricciava il naso e se ne fregava della mia
sollecitudine.
Mi presi una lavata di testa dalla suora per il rischio di non averla allattata a letto. L'avrei fatta cadere, e chi se lo sentiva il primario! Non le diedi retta, cosa mai sapeva lei di seni, capezzoli, bocche golose e poi subito sdegnose. Io avevo visto le donne di famiglia allattare sedute, con uno sgabello sotto un piede. Così s’allatta, madre! A chi madre non era. Poi scalpitai nell'attesa che arrivasse l’ora della poppata seguente.
Mi presi una lavata di testa dalla suora per il rischio di non averla allattata a letto. L'avrei fatta cadere, e chi se lo sentiva il primario! Non le diedi retta, cosa mai sapeva lei di seni, capezzoli, bocche golose e poi subito sdegnose. Io avevo visto le donne di famiglia allattare sedute, con uno sgabello sotto un piede. Così s’allatta, madre! A chi madre non era. Poi scalpitai nell'attesa che arrivasse l’ora della poppata seguente.
Sei mesi dopo la esibivo come un
trofeo. Conficcava i piedini nel mio fianco, infilandoli nella mia carne come
palafitte in un fondale roccioso, fiera come una polena. Il mio braccio a fare lo spigolo
della prua.
A quattro anni correva sui
cornicioni della terrazza della nonna materna per fare prove di volo. Lei sapeva
di poter volare, diceva. Non mangiava quasi niente. Forse per resistere alla
forza di gravità.
A sei anni preparò una fuga verso
una città immaginata, intravista tra le luci della collina. La cercammo con i
cani poliziotti. La trovammo grazie a una segnalazione di un signore che girava
per la campagna per osservare un gregge di pecore.
A quattordici anni andò in un campeggio di aspiranti
rivoluzionari, con la promessa solenne di non fare colpi di testa.
A quindici andò a Oxford con una
organizzazione studentesca. Sul posto abbandonò i suoi compagni e si intrufolò
in una sede anarchica, tutta ghirigori e murales (confessione di molti anni
dopo).
A sedici/diciassette a Londra ( o
a Oxford?) vendette borsette stile regina
madre.
A diciotto anni si rasò i
capelli, dapprima solo la nuca, poi il vero colpo fu una cresta scolpita che da
bionda diventò colorata.
A vent’anni o giù di lì, a Londra,
la sua cresta era degli stessi colori delle aiuole di Kensington Park.
Ecco, questa è una breve e lacunosa sinossi.
Ecco, questa è una breve e lacunosa sinossi.
Vive da una quindicina d’anni in Messico. Compone decime repentiste, zapatea sopra la tarima e scartabella archivi polverosi in musei e sacrestie alla ricerca di capocomici e fantasmi. Scrive saggi eruditi e originali.
I suoi capelli biondi sono lunghi. La vedo una volta all’anno, di passaggio.
Avevo ragione (o no?) quando le dissi: brutta!
Retorica, io, ma quando ce vò... Mi hai commossa
RispondiEliminaGrazie, Isa. Lei, la brutta, mi manca sempre.
RispondiEliminaMaria, io credo che sia un meraviglioso dipinto di parole della tua bella Cate. Non ho parole, ma tengo strette le tue!
RispondiElimina<3 ah, le figlie!
RispondiEliminaBrutta un cazzo! Oops non si dice, ci sono le bambine... bellissime entrambi.
RispondiEliminaScusa, Fabrì! :)
RispondiEliminaQuanto mi piace Cate, qualche similitudine con mia figlia ma con una differenza non da poco.....Cate vola alto, la mia troppo basso e c'è rischio di schiantarsi....ma quanto le amiamo Grazie Maria.
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