domenica 20 novembre 2011

Cascare a fagiolo


E venne la stagione dei legumi secchi, allegra famigliola di fagioli, ceci, lenticchie e cicerchie che d’estate si tende a non mangiare perché “riscaldanti”, a detta della saggezza popolare, fatta eccezione per la fava. I piselli sono buoni solo freschi, ma questo è soltanto il mio modesto parere.
Borbottava un giorno il fagiolo nella pignata di coccio piena di fagioli al fuoco lento del braciere, posto al centro della stanza della casa terragna, mentre intorno si sciorinavano storie. Oggi è il fischio gagliardo della pentola a pressione che avverte: a pranzo legumi!
Sì, il modo più facile, nel nostro tempo ipercinetico, di cuocere ceci, fagioli e cicerchie, è proprio la pentola a chiusura ermetica dove calore e pressione permettono ai cibi più coriacei di diventare commestibili in tempi assai ridotti, senza intaccarne le proprietà organolettiche e nutritive.
Lenticchie e fave sgusciate cuociono in poco tempo e quindi non richiedono ammollo. Mentre il lungo bagno notturno in acqua abbondante è imprescindibile per tutti gli altri.
Siate avvertiti, consumatori di prodotti in scatola. Ho sperimentato legumi conservati sia in vetro, sia in lattina. Evitateli, mangiate altro. Ho visto persone aprire una lattina di fagioli, intiepidirli, versarli nel piatto e mangiarli seduta stante come in un vecchio film western. Ho sentito il coyote ululare nella pianura, ma era soltanto il mio stomaco che si ribellava. Per non parlare del naso che, non avvertendo alcun profumo, ha cominciato a fare movimenti di contrazione delle narici, come il cane che fiuta l’aria perché ha perso le tracce. No, non ho abbaiato.
Cominciamo dai fagioli. Secondo Il Banco delle Sementi, appena cento anni fa esistevano in Italia 100 varietà di fagioli, di cui oggi una buona metà è estinta. Nei supermercati se ne trovano a malapena cinque sulle 3600 varietà selezionate dall’uomo. Si tende ad attribuire l’origine del fagiolo all’America meridionale, ma da Omero in poi già si menziona questo seme benefico. Apicio, scrittore del I sec. D C. parla di una salsa di farina di fagioli mista al liquamen, la famosa (o famigerata) colatura di scarti di pesce, che deliziava il palato dei Romani, anticipando la maniera odierna di servire legumi con pesce o crostacei. A Belo Claudia, in Andalusia, si possono ancora oggi ammirare le grandi vasche in cui si faceva il liquamen che affluiva a Roma in grandi quantità.
Quanto alle storie, il fagiolo ha nutrito tante leggende e favole, sulle quali non mi soffermerò. Perché urge la ricetta per i fagioli, almeno una, quella di base, che poi è ancora l’antico modo romano (insuperato nella sua semplicità) di cucinare i legumi.
Per 4 persone:
200 gr di fagioli (cannellini, borlotti, toscanelli, lamon, di Rotonda…)
Uno spicchio d’aglio vestito
Due foglie d’alloro (indispensabile per la digestione e l’attenuazione dell’eventuale meteorismo intestinale)
Un gambo di sedano (il sedano permette di diminuire un po’ il sale)
Un pomodoro fresco o in scatola a pezzetti
Sale q.b. (importante: da aggiungere solo a cottura ultimata)
Una macinata di pepe nero (direttamente nel piatto)
Olio EVO (anche questo a piacere nel piatto)
La sera prima mettere i fagioli a bagno, coprendoli di acqua fino a quattro dita sulla loro superficie. I fagioli si gonfieranno e, se ne mettete poca, rischiate che una parte di essi non rinvenga.
La mattina dopo, ponete i fagioli nella pentola a pressione con rinnovata e abbondante acqua (si fa sempre in tempo a far restringere…) insieme a tutti gli odori. Coprite e chiudete la pentola e, fate passare mezz’ora dall’inizio del fischio. Scaricate il vapore e controllate la cottura, aggiungendo il sale.
Servite in fondine con fette di pane casereccio tostato e sfregato (se piace) con aglio. Olio e pepe.
Soffritti e battuti di lardo o pancetta danno morbidezza alla zuppa, ma a brontolare sarà il signor fegato. Ogni tanto si potrà fare. Per coloro che non sopportano la cellulosa della buccia, la zuppa si potrebbe servire passata con poca acqua di cottura. Per i parigini di oggi basta adagiare sulla crema di fagioli tre o quattro frutti di cozze nere o vongole sgusciate in padella velocemente con aglio, prezzemolo e olio. Naturalmente ogni aggiunta siffatta elimina il condimento principe, l’olio crudo di cui prima si parlava. Approfondiremo alla prossima.

venerdì 18 novembre 2011

La cipolla tira su

 
Secondo capitolo dedicato alla cipolla.
Oggi, i giovani si astengono quasi tutti dal consumare la cipolla insieme al suo cugino aglio. Si teme per gli incontri ravvicinati, come se mangiare (e lavarsi i denti) non si potesse fare in tempi diversi dal congiungimento estatico delle labbra o dal soffiare parole amorose in faccia, o in bocca a seconda dei casi, alla propria metà. È mio incrollabile convincimento tuttavia che coloro i quali rifuggono dai sapori decisi, in amore siano un po’ come lattughe lesse. L’eros passa attraverso l’esperienza totale e totalizzante di sensazioni, colori, sapori, nelle quali avvengono sinestesie meravigliose.
Per quanto concerne la cipolla mi tocca citare uno di famiglia, precisamente zio Antonio, di mestiere contadino. Ricoverato in ospedale più volte, ebbe a ridire con il vitto che il salutare convento gli passava, il cui ingrediente principe erano le molli, svenevoli, insipide zucchine al vapore. Gli anni (e le malattie ahimè) non gli avevano sottratto nemmeno una cellula della sua sfavillante materia grigia e della sua secolare sapienza. Insomma, per farla breve, soleva affermare solennemente e con un pizzico (q.b.) di sornioneria che tutto ciò che cresce sotto terra dà vigore. Chiedeva patate, finocchi, cipolle, carote, ma non zucchine.
‒ Ma voi signorina, avete mai visto una pianta di zucchina?
L’infermiera addetta alla distribuzione del vitto, che già non capiva con quel “voi” a chi il vecchio marpione si riferisse, scuoteva la testa e si allontanava stizzita.
Antonio continuava la sua lezione imperterrito e dagli altri letti, i suoi compagni di corsia, erano costretti, volenti o nolenti, ad ascoltare le sue filippiche.
‒ Le zucchine  nascono sopra la terra, ma cadono verso il basso, fino ad appoggiarsi completamente. Se io mangio le zucchine, queste mi tirerebbero giù a terra come loro. Non hanno sostanza! Ci danno le zucchine per tenerci buoni così da non avere la forza di suonare il campanello.
Tornando alla cipolla e al fatto che ci avviciniamo a gradi forzati verso l’inverno, vi propongo il tradizionale calzone di cipolla di origine pugliese. Per quanto la pasta ripiegata e variamente farcita appartiene sicuramente a tutta l’area mediterranea, dalla Liguria all’Egitto, all’Asia, fino alle Americhe che, con tacos e empanadas partecipano alla quadriglia.
Per dirla con Leonardo Sciascia, a ciascuno il suo (calzone/sfincione). E credo che non se ne avrà a male.
Calzone di cipolle
Per la pasta:
500 grammi di farina (metà semola rimacinata, metà farina bianca)
Una tazzina da caffè di olio d’oliva extra vergine (circa 70gr)
Vino bianco (preferibilmente malvasia o altro vino un po’ aromatico) q.b.per impastare
20 gr di lievito di birra.(La versione tradizionale non lo prevede, fate voi. In tal caso aumentare a 100 grammi l’olio. Avrete una pasta tipo brisé, aromatizzata dal vino)
Un pizzico di sale, uno di zucchero.
Un pizzico abbondante di semi di finocchio (ausilio per la digestione!)
Impastare gli ingredienti e fare un panetto che metterete sotto un telo a riposare fino a quando si gonfierà. Se scegliete la versione senza lievito, il riposo non è necessario.
Per il ripieno:
2 kg di cipolle, tagliate sottili e stufate in poco olio, su fuoco basso. (pulitele sotto l’acqua del rubinetto, i vostri occhi vi ringrazieranno!)
Qualche oliva nera salata
Due filetti di acciuga, dissalata e disliscata
Qualche acino di uva passa (facoltativo)
Fate attenzione al sale nelle cipolle, ricordando che ci sono ingredienti già salati
Composizione:
Dividere il panetto in due parti, una più grande. Ricavarne due dischi. Quello più grande lo userete per il fondo e i bordi, il più piccolo per ricoprire dopo aver versato le cipolle, condite una volta fredde). Se fate l’operazione sulla carta forno, sarà più facile il travaso dal piano di lavoro alla teglia e non avrete bisogno di oliarla.
Fate attenzione a conservare un po’ del fondo di cottura delle cipolle. Vi servirà per spennellare la superficie del calzone dopo che avete rimboccato i bordi del disco inferiore sull’altro. Se avanza della pasta fate dei ghirigori per decorazione.
Forno riscaldato preventivamente a 200°. Abbassate a 180° dopo i primi 10 minuti. 25/30 minuti di cottura.
Si serve tiepido.
Oggi mangiatevi il calzone in santa pace… gli amanti schizzinosi domani.

mercoledì 9 novembre 2011

Indomita

La speranza oggi
è una vecchia signora
Vestita di voile a fiori
Sotto un grigio soprabito.
Cammina lenta e solenne
Col suo bastone da passeggio
dalla testa d’argento
Un serpente squamoso.
E poi si siede un po’ affannata
Insensibile al freddo
Su una panchina del parco
immerso nell’aria autunnale.
La vecchia signora
In voile a fiori
Sotto il grigio paltò
Guarda negli occhi il serpente
Presto ti schiaccerò, amico.mio.

domenica 6 novembre 2011

La mia cucina


La mia cucina è rossa.
Rossa
come la polpa di un cocomero maturo
come il ventre che contiene le viscere.
Rossa
come il sangue che scorre nelle arterie
come le bandiere gettate nel fosso.

La mia cucina è lucida.
Lucida
come uno specchio
in cui le facce
non svaniscono.
Coscienza vigile che non perdona.

La mia cucina è  camera di tortura
dove trituro pensieri
parole e musica
cipolla sedano e carota.

La mia cucina è allegria
il viola è melanzana
le lacrime un regalo effimero del bulbo stizzoso
il verde  è  colore che non Lega.

La mia cucina è orchestra
calici vuoti e bicchieri pieni
cavo di piatti e pentole
sciacquio di rubinetti aperti
sibili di vapori prepotenti.

La mia cucina è caos fecondo
sul tavoliere  una fontanella di farina
sconvolta da ruscelletti d’acqua e olio
si tramuta in compattezza
palpitante sotto dita pazienti.

La mia cucina è la magica grotta
dove prendono corpo e figura
copertine di libri
deliri della mente
piaceri della gola.

La mia cucina è ordine.
Rimettere a posto tutto
per ricominciare.
Ogni giorno
passo dopo passo
bollore dopo bollore
boccone dopo boccone.
Che altro?



sabato 5 novembre 2011

Composta tiepida di mele

Una poesia mediocre? Concordo. Meglio sarebbe una buona ricetta del tempo andato. Una ricetta che spanda intorno un profumo buono, un alito di casa, tenera come un abbraccio, calda come un piumino, stuzzicante ed eretica q(uanto) b(asta).
Pochi ingredienti e tutti facilmente reperibili, tranne forse il tempo o la voglia di fare. Ma quando "Orion dal cielo/declinando imperversa" e l'ispirazione poetica viene meno, si può tentare un'altra strada.
Sicuramente la riuscita sarà piena e saporosa, contrariamente a quegli smozzicati pensieri che il mio cuore in tumulto  sputa fuori qualche volta senza vergogna.

Ingredienti per quattro persone

Cinque mele renette
Una banana
Tre cucchiai di zucchero di canna
Tre fiori di anice stellato
Tre chiodi di garofano
Una stecca di vaniglia
Due acini di pepe (facoltativi, solo per i più arditi)
Una stecca di vaniglia 
Scorza di limone
Succo di limone

Biscottini rustici (meglio sarebbero i mostaccioli pugliesi. In alternativa biscottini altoatesini speziati. Non siamo integralisti o razzisti, prendiamo quello che ci piace)

Procedimento
Nettare le mele e la banana e tagliare la frutta in piccoli pezzi, avendo cura di bagnarli col succo del limone. Metterli in una terrina, cospargerli di zucchero, aggiungere una tazzina da caffè di acqua e accendere il fornello a fuoco moderato. La frutta cuocendo si disferà in una decina, più o meno dipende dalla sua maturazione, di minuti. Allora con un mestolo di legno bisogna rigirarla per ridurla in crema e aggiungervi le spezie preferite, avendo cura di aprire il baccello di vaniglia per estrarne i semini prima di gettarlo tutt'intero nella composta.
Far cuocere per due minuti, giusto il tempo di lasciare che le spezie regalino i loro effluvi, e lasciare intiepidire. Eliminare fiori di anice, stecca di cannella e baccello di vaniglia, e soprattutto i due granelli di pepe. Se la passate al passaverdure siete sicuri della eliminazione, ma non credo sia necessario.
Servire in coppette, guarnendo con un biscotto.












venerdì 4 novembre 2011

Genova 2011

La terra ribelle
non accoglie più la pioggia
che trascina con sé
anche le nostre lacrime, 
prima di tornare
a essere fiume 
nel seno del mare.
Arata
Rivoltata
Calpestata
Offesa
Esausta
Ci sputa dalle sue viscere
Come bocconi indigesti
Amari di fiele
E sudore.
Sulle rovine galleggiano
Arpie funeste
Le responsabilità degli uomini
L’incuria imbelle dei politici
L’avidità rapace dei cementificatori.
Ahi, serva Italia
Amara terra mia
Tacciono le trombe del giudizio
Di un dio distratto
troppo impegnato
a scaldar la gente
degli stessi paraggi.