E venne la stagione dei legumi secchi, allegra famigliola di fagioli, ceci, lenticchie e cicerchie che d’estate si tende a non mangiare perché “riscaldanti”, a detta della saggezza popolare, fatta eccezione per la fava. I piselli sono buoni solo freschi, ma questo è soltanto il mio modesto parere.
Borbottava un giorno il fagiolo nella pignata di coccio piena di fagioli al fuoco lento del braciere, posto al centro della stanza della casa terragna, mentre intorno si sciorinavano storie. Oggi è il fischio gagliardo della pentola a pressione che avverte: a pranzo legumi!
Sì, il modo più facile, nel nostro tempo ipercinetico, di cuocere ceci, fagioli e cicerchie, è proprio la pentola a chiusura ermetica dove calore e pressione permettono ai cibi più coriacei di diventare commestibili in tempi assai ridotti, senza intaccarne le proprietà organolettiche e nutritive.
Lenticchie e fave sgusciate cuociono in poco tempo e quindi non richiedono ammollo. Mentre il lungo bagno notturno in acqua abbondante è imprescindibile per tutti gli altri.
Siate avvertiti, consumatori di prodotti in scatola. Ho sperimentato legumi conservati sia in vetro, sia in lattina. Evitateli, mangiate altro. Ho visto persone aprire una lattina di fagioli, intiepidirli, versarli nel piatto e mangiarli seduta stante come in un vecchio film western. Ho sentito il coyote ululare nella pianura, ma era soltanto il mio stomaco che si ribellava. Per non parlare del naso che, non avvertendo alcun profumo, ha cominciato a fare movimenti di contrazione delle narici, come il cane che fiuta l’aria perché ha perso le tracce. No, non ho abbaiato.
Cominciamo dai fagioli. Secondo Il Banco delle Sementi, appena cento anni fa esistevano in Italia 100 varietà di fagioli, di cui oggi una buona metà è estinta. Nei supermercati se ne trovano a malapena cinque sulle 3600 varietà selezionate dall’uomo. Si tende ad attribuire l’origine del fagiolo all’America meridionale, ma da Omero in poi già si menziona questo seme benefico. Apicio, scrittore del I sec. D C. parla di una salsa di farina di fagioli mista al liquamen, la famosa (o famigerata) colatura di scarti di pesce, che deliziava il palato dei Romani, anticipando la maniera odierna di servire legumi con pesce o crostacei. A Belo Claudia, in Andalusia, si possono ancora oggi ammirare le grandi vasche in cui si faceva il liquamen che affluiva a Roma in grandi quantità.

Per 4 persone:
200 gr di fagioli (cannellini, borlotti, toscanelli, lamon, di Rotonda…)
Uno spicchio d’aglio vestito
Due foglie d’alloro (indispensabile per la digestione e l’attenuazione dell’eventuale meteorismo intestinale)
Un gambo di sedano (il sedano permette di diminuire un po’ il sale)
Un pomodoro fresco o in scatola a pezzetti
Sale q.b. (importante: da aggiungere solo a cottura ultimata)
Una macinata di pepe nero (direttamente nel piatto)
Olio EVO (anche questo a piacere nel piatto)
La sera prima mettere i fagioli a bagno, coprendoli di acqua fino a quattro dita sulla loro superficie. I fagioli si gonfieranno e, se ne mettete poca, rischiate che una parte di essi non rinvenga.
La mattina dopo, ponete i fagioli nella pentola a pressione con rinnovata e abbondante acqua (si fa sempre in tempo a far restringere…) insieme a tutti gli odori. Coprite e chiudete la pentola e, fate passare mezz’ora dall’inizio del fischio. Scaricate il vapore e controllate la cottura, aggiungendo il sale.
Servite in fondine con fette di pane casereccio tostato e sfregato (se piace) con aglio. Olio e pepe.
