La nonna si chiamava Gaetana. Quel nome le tirò addosso l'omaggio inconsapevole alla virgiliana Caieta: fu nutrice dall’età di sedici anni, quando venne rapita dal suo innamorato e si sposò, e lo rimase fino a quando il suo petto smise di sgorgare latte profumato. Allattò tanti bambini: undici i suoi e molti quelli degli altri. Offriva il capezzolo a qualsiasi bambino di cui udiva il pianto.
- Oggi il bambino piange in continuazione, portalo
da Gaetana.
E il miracolo avveniva. Gaetana
tirava fuori senza pudore la sua grassa mammella e offriva quiete e ristoro,
una calda appaciante consolazione. Meglio della papagna, l’infuso
dei semi di papavero, che faceva crescere bambini scemi. Gaetana era fiera della sua lattea sorgente. Le capitava che, mentre allattava i suoi o gli altri, bambini più grandi si avvicinassero a guardare con facce stranite la massa di carne da cui usciva il latte. Allora Gaetana per liberarsene, sottraeva la mammella al poppante e spruzzava il getto di latte sulle facce degli incauti osservatori. I bambini si allontanavano strillando, fingendo spavento, ma con le dita raccoglievano le gocce di latte e se le portavano alla bocca leccandosele golosamente.
Fu per questa sua
natura di curare la vita attorno a lei che Gaetana si offriva anche di lavare i morti,
vestirli e accompagnarli fino alla fossa di terra che li avrebbe ricoperti. Nutrice
fu e lo rimase. Ma fu per stanchezza, per la resistenza che si assottigliava
ogni giorno di più che, quando sua figlia partorì il suo quinto figlio, Gaetana disse:
femmina schiattata, proprio una femmina! Quasi dispiacendosi che alla nuova
venuta fossero accollati i suoi compiti, il suo destino, di cui però non si era mai lagnata.
Quando la bambina compì il primo
anno, sua figlia si ammalò gravemente e allora si fece una triste spartizione.
I primi tre, due femmine e un maschio, sarebbero rimasti in famiglia; le ultime
due furono assegnate alle rispettive nonne. Gaetana tenne per sé Sabina, la più
piccola. Femmina schiattata. Bionda e
cicciottella, se la mangiava di baci e carezze.
Ogni giorno, una delle sorelle,
la seconda, andava dalla nonna a giocare con Sabina. Talvolta se la caricava in
braccio e la portava a giocare con lei a casa della mamma. Gaetana, nonostante
il suo amore per la vita e per i bambini, cominciò a odiare quella nipote scostumata che osava portarsi via la sua Sabina. Contava le ore e i minuti fino a
quando la bambina le veniva restituita. Sabina era un cherubino paffuto.
Gaetana faceva cucire dalla figlia, che ancora zitella viveva con lei, i vestitini arricciati in vita, che mettevano in
risalto la morbidezza delle gambette e le calzette bianche nelle scarpe col
cinturino della nipote.
La sorella più grande, che poi aveva solo quattro anni di più ed era anche lei una bambina, si guadagnò il nome di scarafaggio. Aveva i capelli neri come l’inchiostro, grandi occhi che davano al giallo come quelli dei cani e la pelle levigata dal riflesso violaceo, tipico delle brune mediterranee.
La sorella più grande, che poi aveva solo quattro anni di più ed era anche lei una bambina, si guadagnò il nome di scarafaggio. Aveva i capelli neri come l’inchiostro, grandi occhi che davano al giallo come quelli dei cani e la pelle levigata dal riflesso violaceo, tipico delle brune mediterranee.
- Adì, è arrivato lo scarafaggio!
La bambina rideva
dell’appellativo e non ci badava, aveva altro a cui pensare. Allora i grandi
non si mettevano in discussione, nemmeno quando ti trattavano male. Si stava
zitti, ma forse proprio per questo ci si induriva nel carattere, si maturava animo fermo nelle proprie idee e decisioni. Qualche
volte Gaetana le permetteva di giocare con suo seno vizzo: Scarafaggio lo
estraeva dalla scollatura e soppesava la mammella grinzosa come una sacchetta
di canapa. Gaetana rideva, ma durava poco. E l’allontanava con una ruvido
spintone.
- Vattene, Scarafaggio!
Scarafaggio allora abbracciava la
piccola e se la portava quasi di corsa sulla strada tutta in salita fino alla loro casa. Ma
non era sempre possibile. Gaetana obbligava le nipoti a rimanere sul ballatoio della
scala che portava alla sua casa a giocare sedute e composte sulle pietre
bianche dei gradini. Scarafaggio doveva stare attenta a non far cadere la
piccola, ma giocare sui gradini non è che si potesse fare chissà che. Sulla
porta, riparata da una rezza che fungeva
da tenda, Gaetana si sedeva e sorvegliava. Su quella sedia rimase un giorno
colpita da trombosi. Si riprese, ma rimase paralizzata tutto il lato destro e non riusciva più a parlare se non per pronunciare ancora due
biascicate parole: Vattene, scarafaggio!
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