sabato 30 luglio 2016

Tessera nera ovvero dello sconforto





Al Pireo, in Leoforos Vasileos Georgion A, precisamente al n. 838 in prossimità di Korai Square, si staglia d’un bianco accecante il Dimotiko Theatro. Una costruzione in stile neoclassico che risale alla fine dell’Ottocento, opera di un architetto di scuola Ziller. Proprio quello che ha lasciato la sua impronta in molte città importanti della Grecia. Quattro poderose colonne corinzie, frontone e timpano. Un imitazione teutonica, nella sua pesantezza, della maestosa leggiadria dei templi arcaici. Il volenteroso architetto si è sforzato, ma non ce l’ha fatta.
Sui gradini di accesso, in pieno sole, staziona abitualmente un mendicante. Le due stampelle tarlate giacciono abbandonate al suolo. Vestito di stracci, faresti fatica a distinguerlo da un mucchietto di spazzatura mollato lì da qualche bastardo maleducato. Il mucchio ogni tanto si anima: due piedi luridi si protendono sullo scalino sottostante. Le caviglie fasciate di bende color della terra secca. Non chiede, non implora, non piatisce, ma se ti avvicini puoi ancora scorgere lame di luce negli occhi verdi in mezzo al grumo unto e bisunto di capelli e barba. Un’apparizione, una sorta di buco nero su un fondale candido di cartapesta.
– Sembra Ulisse – dicevo le prime volte che lo incontravo.
– Ulisse? – il filosofo mi canzonava.
– Ma hai presente quando Odisseo torna a Itaca e Atena lo trasforma in un mendicante per sicurezza?
– Per me assomiglia più a Iro, quello che sta con i Proci.
Per un momento penso ai mendicanti di professione, a quegli individui che recitano una parte abominevole con rara ferocia. Ti si avvicinano, mettono paura. Minacciano. Qualche passante, pur di liberarsi di un eventuale contatto, si affretta a liquidarli con una moneta, scansando il brivido dello schifo.
Ci perdiamo così nella confusione del viale alberato che quest’anno sembra aver recuperato in vivacità. C’è persino una pasticceria (leziosa) con macarones in bella vista a fianco di lucide torte pseudo viennesi. Fanno anche il gelato. Segno di una crisi in recessione? Ce lo auguriamo.
Al Pireo si esce di sera se non vuoi arrostire. Così facciamo, diretti all’Arlecchino, un locale che fa cibo greco a buon prezzo. Tavolini in strada, sedie dal fondo impagliato (che ti lascia i segni delle corde sulle cosce) senza pretese. Tovaglia cerata a fiori e le posate dentro il cestino sotto il pane.
L’abbaiare rabbioso è improvviso, supera il rumorio del vicolo, il frusciare delle foglie e le chiacchiere della gente. Un cane brutto, torvo, con cortissime zampe e corpo massiccio rincorre qualcuno. Io ho una paura matta dei cani, mi alzo in piedi, la sedia cade dietro di me. Davanti al cane arranca il nostro Odisseo, urla di dolore, saltella con le stampelle, le fasce alle caviglie si srotolano. Il cane morde, lui cerca di sottrarsi ai morsi. Una stampella rimane per strada.
Nessuno dei passanti, numerosi, interviene ad allontanare il cane, qualcuno ride e sogghigna come davanti a una scena comica usata. Il Teatro degli Indecenti, direbbe Sabbath.
La fame ci è passata.
Intanto la luna, come una focaccia di patate, sale alta nel cielo dietro il Dimotiko Theatro. A lei non importa che Odisseo non sia stato riconosciuto dal suo Argo, è indifferente, come tutti, alle urla di dolore del mendicante che fugge e forse è riuscito a mettersi al riparo in qualche androne, solo perché la bestia ha rinunciato a inseguirlo. Come avesse difeso il territorio, come avesse scacciato un rivale, come fosse stato addestrato da qualche bottegaio spocchioso all’impresa. Chissà.
Ora il Teatro è tornato alla sua vita di cartolina. Una di quelle cartoline malinconiche, congelate nella lucentezza della superficie, priva di vita vera. Ma è difficile resistere alle cartoline, io stessa ne ho spedite due. Due soltanto, però.





… continua

mercoledì 27 luglio 2016

Tessera azzurra o della serenità






La vita non è scorrimento ma intreccio. Per questo ci appare spesso faticosa, incomprensibile, e facile agli ingarbugliamenti. Io, che di vita racconto, qualcosa dovrei sapere di questa magica ingegneria, ma dipanare i nodi e ricomporre le esperienze mi trovano sempre inadeguata. La scrittura, che di vita si sostanzia, non fa eccezione anche quando simula, finge e pensa di plasmare dal nulla le esistenze di sbiaditi e talvolta sfuggenti personaggi. Scrivere allora prende il significato di imbastire legami tra visioni, tra le tessere di un ideale mosaico, di modo che il tutto riesca a comporsi nonostante i pezzi siano irregolari, dai bordi puntuti o stondati o mancanti di linee e colori e disegni che facilitino l’assembramento e la contiguità.  Nel puzzle a volte sembrano essere i vuoti a dare senso al tutto. Un azzurro di cielo, un verde di prato, un marrone di terra, tutti così uguali e indifferenziati. Eppure determinanti sineddochi.

Così sarà questa mia prima relazione di viaggio. Io metto a disposizione le tessere che ciascun animoso lettore potrà mettere insieme come può e come crede; e forse ci sarà qualcuno più bravo o più brava a stabilirne le connessioni. Così le mie sgrammaticate visioni mi torneranno più chiare, finalmente composte? 
Proviamo.

Tessera azzurra o della serenità: partiamo dall’Italia (Vasto) avvolti in un profumo da pasticceria. I biscotti di Lucia, Brutti ma Buoni (la denominazione è sua) spandono senza pudore effluvi di mandorle tostate, di zucchero e chissà quali altre luciferine sostanze. La Tamarra (nostra nave di Teseo) ci avverte: se proprio non resistete, fatelo prima della prossima curva. E poi richiudete la scatola per bene, altrimenti si inumidiranno!

 L’ingenua Tamarra finge di non sapere che, a voler trascurare il caldo della stagione, il tempo assegnato ai kaloi kai agatoi (belli e buoni) è segnato. Il primo che spezzo a metà (divisione equa di calorie e gusto) finisce in un gesto: bocca aperta e fauci che si richiudono triturando e mugolando.

- Hai visto come si sciolgono in bocca? Pensavo fossero più duri.

Il filosofo non può che annuire per esprimere il suo consenso.

Tamarra avverte: finiteli adesso, che poi vi dovete portare sul traghetto tutte le masserizie per la notte. Le felpe, il cuscino, i panini… sembriamo un carro gitano, manca solo un violino e un gatto! Tamarra borbotta, si sente parte della famiglia, ormai.

- Azz, vero. Finiamoli prima di entrare in porto, che non sappiamo nemmeno dove andare ed è la prima volta che partiamo da Bari per la Grecia.

Così finisce la prima pausa di viaggio: in uno sgranocchiare compiaciuto tra i denti, il palato e la lingua. Biscotti, addio. Sul sedile di dietro, in cima al mucchio selvaggio delle quattro cose irrinunciabili azzurreggia il prendisole ricevuto in regalo. Quella di Lucia e Antonio è la “casa degli amici”. Tu arrivi a rompere le uova nel paniere e ti danno da mangiare, ti fanno regali, ti permettono di gigioneggiare con le chiacchiere fino a lasciarsi stordire. Anche la mamma del piccolo Donato viene travolta. La prossima volta dovrò controllarmi, penso.

Questa è la vita che vorrei per sempre. Qualcosa in contrario?

E poi.
... continua