sabato 3 ottobre 2015

B(orsite) & B(andiera)














Susanna lo pensava da tempo. Ma quella mattina ne fu convinta categoricamente. Lei e gli acciacchi  avevano un’intesa formidabile. Quasi un attaccamento affettuoso. In realtà li temeva, ma loro se ne infischiavano altamente. Però con rispetto. Cosa voleva dire? Che se la madama Borsite aveva deciso di stabilirsi e diventare cronica, lei/essa non aveva scelto a caso. Si era insidiata sotto l’omero sinistro e di lì operava uno scavo profondo, tenace, con chiara intenzione egemonica, ma non invadeva ancora la spalla destra.
Sa che io con la sinistra non ci faccio nulla, nemmeno un bicchiere sollevo. Per non parlare della Sinistra del cuore, la mia squadra preferita, che da un pezzo se l’è data a gambe. Qualche comparsata ai funerali e basta, bofonchiava Susanna.
Che fai, piangi per Pietro?
No, macché! La borsite, è la borsite maledetta. E Susanna giù lacrime di pena, una pena cosmica, dura ma friabile come il calcare.
Poteva dire, a sua giustificazione, che ormai piangeva per qualsiasi cosa la commuovesse appena appena, dando la stura alle sorgenti del rorido fiume sulle sue guance non ancora avvizzite del tutto. Colpa della borsite. La borsite custodiva come una vestale immacolata la sua dignità, il suo aplomb. Quasi la irritava, tuttavia, che la destra parte della sua impalcatura ossea ancora teneva botta. Qualche volta quasi per gelosia la destra cercava di attirare l’attenzione. Si sa, borbottava Susanna tra sé e sé, è gelosia tra sorelle, cupole e scapole, tra fratelli, omeri impoetici. Persino l’afflizione poteva essere oggetto di invidia: lì, sotto l’occhio della televisione, accorsa alle esequie del compagno Pietro. Si trattava pur sempre di immagine e bisognava sfruttare quel grande fratello che spiava nelle narici e nelle orbite degli astanti l’umidore elegantemente trattenuto.
Il dilemma rimaneva ancora quello del buon Vladimir Ilijc: che fare?
Ringraziò la sua destra parte se poteva ancora reggere quella bandiera rossa in mezzo alla gente. Così pianse senza ritegno per Pietro. Senza che alcuno potesse apostrofarla con un laido èlavitachecivuoifare, primaopoitoccaatutti.
Maledetta borsite, è la borsite. Ché non lo sapeva Susanna che sarebbe toccata a tutti e persino a te, Sinistradestra maledetta, imprecò.
Si sedette su un muretto al limite della piazzetta mentre le note della Bellaciao si perdevano nell’aria.
Sono anche scoordinati, constatò Susanna che aveva l’orecchio musicale ancora vivo. Nelle manifestazioni era lei che intonava e dava il ritmo agli slogan del gruppo di donne di cui faceva parte. Dodecasillabo, dev’essere dodecasillabo, sorelle compagne!
Sciolse la bandiera dal bastone, la ripiegò con diligenza prima in due, poi in quattro, poi in otto e infine in sedici: un rettangolino grande come un libro tascabile. Impugnò il bastone e se ne tornò a casa. Sebben che siamo donne//paura non abbiamo ritmò i suoi passi incerti. Non era vecchia come Pietro, Susanna aveva avuto il tempo di sentire una ragazzetta belloccia dire che sarebbe voluta nascere o vivere nel 1942, proprio come lei. Ma che avevano in testa ‘ste ragazze d’oggi?