sabato 21 dicembre 2013

Biscotti al tempo della nebbia







Va bene. Oggi si biscotta. Succede ogni volta ( o quasi) che c’è questa nebbiolina untuosa che ti si appiccica al viso e sale su per le narici a pizzicarti i seni paranasali. Non so se la fisiologia sia corretta. Nel pomeriggio mi attende l’otorino che esplorerà quelle vie e forse mi dirà: "Che vuole signora, è la stagione". Io farò finta di assentire, rimanendo nel dubbio malefico che si riferisca alla mia di stagione e non all’inclemenza del meteo. Ma io oggi biscotterò. Me lo sento. Accenderò un sole sulla spianatoia, un sole giallo, magma luminoso di mandorle, zucchero, farina, uova, buccia di limone, burro (o olio? Vada per quest’ultimo!) e cotognata e marmellata d’arance. Mi sporcherò le mani, imprecherò, mi azzufferò con gli ingredienti, e le mie dita si muoveranno leste come non sanno invece fare sulla tastiera. Mi si dice che Pirandello scriveva sulla sua macchina da scrivere con un dito solo: io so che a me non basterebbero le mani di Kalì (e un cervello in prestito) per scrivere una frase delle sue. Bando alle nostalgie vigliacche, alle recriminazioni di una modestia (o mediocrità?) messa ogni volta alla prova. A queste spinte egotistiche. E prima che le parentesi invadano del tutto, passo agli ingredienti. (Così è se vi pare)


Biscotti di nebbia, anche di pioggia.

Ingredienti:
400 gr. di farina 00

150 di zucchero semolato

150gr di burro (in alternativa 1 dl di olio evo)

1 uovo e un tuorlo

Buccia di limone grattugiata

50 gr di mandorle pelate e tritate finemente

I semini di un baccello di vaniglia ( o estratto o vanillina)

Un pizzico di sale

Un pizzico di lievito in polvere
Qualche cucchiaiata di latte (se necessario).

Per la farcia:
Marmellata d'arancia o confettura di melecotogne.

Guarnizione:
Zucchero a velo o granella




Impastate gli ingredienti velocemente, raccogliete l’impasto a palla, coprirlo con pellicola e metterlo per una mezz’ora nella parte bassa del frigo. Intanto versate la marmellata in un pentolino e regolate la densità. Dev’essere morbida, ma consistente. Lasciar raffreddare.

Riprendete la pasta dal frigorifero, stendete con l’aiuto di un mattarello a un’altezza di mezzo cm circa. Distribuite cucchiaini di marmellata, distanziati tra di loro, solo in una metà del disco di pasta. Ripiegare e ritagliare con coppa pasta o un bicchierino di circa 4/5 cm di diametro. Spennellare coll’albume avanzato, ben sbattuto, in ultimo la granella di zucchero (facoltativa). Mettere in teglia a distanza di due/tre centimetri uno dall’altro. Infornare a 180°, forno già caldo, per 20 minuti. Il colore dorato vi avvertirà che sono pronti. E il profumo vi porterà dal naso al cielo. (Che don Luigi mi perdoni il saccheggio!).


giovedì 5 dicembre 2013

Nove meno tre


I nove libri sul comodino si sono drasticamente ridotti.
Il primo, di autore quasi sconosciuto (e spero rimanga tale)che ha vinto un premio di un concorso importante, editrice minore:
"hamburgher", "...da quando aveva sostituito la prostituzione di massa e infimo livello con l'attività di dominatrice da camera da letto, con tanto di sito internet e inserzioni in ogni sito del ramo...", "...pur lasciando la loro storia parcheggiata in un'area del tutto platonica, lo stringeva a sé facendogli apprezzare la tonica morbidezza delle sue impareggiabili tette". Mi fermo qui.
L'ho lanciato con gesto elegante e sicuro dall'altra parte della camera, la sera io leggo a letto. Il libro è atterrato tra il pouf e il vetro della portafinestra. Il suo rumore l'ha fatto. Il filosofo che già fischiettava col russare leggero del primo sonno, è balzato a sedere con gli occhi chiusi e la bocca aperta.
 - Dormi, - gli ho detto - non è niente, dormi.
Ora, non è tanto quella beata acca interposta a rendere l'hamburger più leggero per via dell'aspirazione dovuta alla fricativa laringale o laringale sorda (presumo, a scelta), non tanto l'immagine della dominatrice con scudiscio e tette di lattice, ma l'assoluta immonda disinvoltura nel trattare la lingua italiana come pezza da piedi. Cosa sarebbe "la prostituzione di massa"? Il sociologo recita che un fenomeno di massa è tale per il numero dei soggetti praticanti; e nel caso della nostra dominatrice lei è una e basta. Non era sufficiente dire che si prostituiva fino allo sfinimento con chiunque offrisse l'obolo richiesto? E "sito" con "inserzioni in ogni sito del ramo" che avrà voluto di'? Che il sito era doviziosamente illustrato con immagini del repertorio pornografico più immaginifico? Sia.

Passo al secondo. Casa editrice ultra conosciuta e osannata. Ho già letto alcuni suoi libri, esposti come trofei sulla libreria del mio soggiorno, autori capaci di emozionare e convincere. Vado sul sicuro stavolta:
“Tu igitur nihil vidis”, “Helga è sulla quarantina, non è sposata, ha una figlia e un collo morbido e molto bello. Il padre della figlia, un contadino delle campagne meridionali, pensa molto a lei, al collo che bacia spesso nei suoi pensieri, come forse facciamo noi. A lei piace il suo lavoro, si tuffa spesso in tomi di psicologia, legge libri…”
E così via in una nenia implacabilmente tediosa. Procede per accumuli paratattici snervanti. IL paese e i suoi tremila abitanti… Una roba che se l’avesse letta il coach geniale, salito all’onore delle cronache per questo ruolo in Masterpiece, avrebbe bollato di “idillismo meridionale” (così recita la diffida imperiosa a inviare manoscritti di tal fatta sul sito della sua casa editrice!).
La frase latina? Simpaticamente tratta dai sogni in lingua di un direttore di Maglificio, divenuto Astronomo (le maiuscole nel testo a sottolineare un simbolismo acquattato o irrilevante). Ma che lingua è? Forse è semplicemente un latino onirico che ignora la coniugazione del verbo video. Fino alla pagina 48 non ho trovato accenno a nulla che spiegasse l’eccentricità grafica di un vidis. E non ho avuto il fegato di andare oltre. Mi è venuto un freddo cane sull’omero scoperto, direttamente dal paesaggio islandese del libro, un gelo da brividi. Ho cominciato a tirare le coperte dalla mia parte. Leggo di fianco, dando le spalle a chi dorme sereno e beato, lui, per stare sotto il cono di luce dell’abat-jour ricoperto da un foulard cashmere, tutto a virgole multicolori.Cerco di essere discreta, di non disturbare troppo.
– Si può sapere che hai? – stavolta la voce ha un che di scocciato, di pazienza liofilizzata.
– Dammi un po’ di coperta, ché ho freddo. Tu fai la mummia, ti avvolgi, e che ti frega che io sono al freddo?
La mummia si srotola e mi accoglie nel caldo abbraccio del suo corpo.
– Allora , la spegni ‘sta luce?
Poggio il libro sul comodino. Abbandono il freddo della copertina, il formato ulteriormente irrigidito nella glaciazione del contenuto. Un rettangolo refrigerato, di quelli che porto al mare nella borsa termica.
– Spengo – dico grata, prima di accomodarmi nel cavo di quel corpo risuscitato.




P.S. Del terzo libro non vi parlo neppure. Penso di abbandonali tutti e tre al bookcrossing della biblioteca di quartiere. Che crossino la vita di qualcun altro. Non sarà una cattiva azione, vero?