Il pensiero fisso di stamattina è il mare. Dichiaro subito
che non so nuotare. I miei piedi fanno fatica a staccarsi dal suolo all’asciutto:
sono piccola di statura, aderente al piano zero e, da quando la forza di
gravità è aumentata per odiose cause ponderali, io tendo ad acquattarmi naturalmente verso
il basso e lì rimango. Figurarsi nell’acqua.
Ho conosciuto davvero il mare che avevo più di vent’anni. Mi
ci aveva già portato una zia all’età dei cinque, ma non ricordo nulla del mare.
Ricordo un letto dove si dormiva di traverso, in una camera angusta e poco
illuminata. Lo si condivideva con la zia suddetta e un paio di cugine più
grandi. Andare al mare e ricordarsi solo un letto superaffollato: spintoni,
calci, sudore, fruscii ininterrotti di ventagli. Senza lenzuolo di sopra, tanto
faceva caldo e non solo per la meteorologia. Immaginate un po’: dormire in
quattro in un letto, d’estate, in un paese dove la temperatura nel mese d’agosto
sale come la febbre di un’influenza invernale. La situazione migliorava
leggermente quando la zia si alzava a metà della notte e si stendeva su un
panno direttamente sul nudo impiantito della stanza.
Mia zia era nubile, ma attratta dal sentimento materno. Portava
con sé al mare le nipoti, lo faceva per le sue sorelle, liberandole per due
settimane di me e delle mie cugine. Ma una infida, sottile vox populi
sussurrava di pretesti, di alibi per auspicati incontri da concludersi
degnamente in un matrimonio che non arrivava. C’è una foto che ci ritrae sulla
spiaggia. Noi bambine tremanti e insaccate in costumi extralarge, adattati con
spille sulla schiena e nodi sulle spalline. Mia zia in posa da calendario per
camionisti (d’allora): il fianco leggermente proteso in avanti, una coscia inclinata
sostenuta dall’equilibrio precario del piede in punta sulla sabbia e una mano
dietro l’orecchio a trattenere la chioma ricciuta. Il sorriso metteva in mostra
la sua bella dentatura e noi non capivamo allora perché le sue labbra fossero
rosso fuoco anche al mare. Le nostre erano sempre livide, non uscivamo mai dall’acqua.
La mamma ci parlava spesso dell’odore del mare, dell’aria del
mare, soprattutto quando apriva una cozza e la mangiava cruda spruzzata di
limone. Lei al mare non c’era mai stata. Ma quando diceva sospirando “ah, l’odore
del mare!” tutti noi cinque la guardavano a bocca aperta e sentivamo con lei il
mare che profumava. Le cozze non ci piacevano con il loro gusto asprigno, ma il
mare lo sognavamo come una promessa di felicità inebriante.
Ci tornai, al mare, col mio fidanzato. Allora non si diceva
ragazzo né tantomeno uomo. Ripenso al mio e al suo imbarazzo. Lui che
timidamente mi voleva insegnare a nuotare, io che mi vergognavo di essere in
costume, per quanto castigato. Così è stato. Così fu.
Oggi amo il mare, anche se non so nuotare, e ogni anno che ci
ritorno ingaggio con le onde una sfida che non va oltre le dieci bracciate.
Sono i piedi a tradirmi, i maledetti piedi che gridano “terra!” ad ogni
respiro. Allora io obbedisco e tocco.
Come lavoro bene di fronte al mare! Io lo guardo e i tasti
sembrano andare più veloci, le parole più sciolte, e i refusi aumentano in
proporzione alle mie occhiate verso l’acqua.
Quest’anno, nell’isola di Lesbo, il mare era una cuna. Uso
questo termine perché mi sentivo accolta come in una culla di legno, quella
delle favole, per intenderci. Nessun Foppapedretti funzionale ed elegante.
Sotto gli occhi irridenti del filosofo, che sa nuotare ma non ama farlo, io mi
raggomitolavo nell’acqua, quasi in posizione fetale, e mi lasciavo cullare nel suo seno. Sarei
potuta restare lì delle ore. Dimentica di tutti i miei guai, delle mie
paturnie, delle mie ansie. Dimentica persino delle pagine che avevo lasciato
incompiute e tradite per un bagno in mare. Fregandomene dei refusi vigliacchi,
di quel dolore sotterraneo e inespresso per la vita mia e degli altri. Mare, Maria.
Lui singolare, io il suo plurale latino. D’ora in avanti chiamatemi Mària.
* foto mia, Pano Sto Kima, Agios Isidoros, Plomari, Lesbo.
* foto mia, Pano Sto Kima, Agios Isidoros, Plomari, Lesbo.
Quanta dolcezza. E quanti sentimenti condivisi.
RispondiEliminaBellissimo scritto, Mària :)
Grazie, Isa. Felice di poter condividere semplicità e sorrisi. Quando si può.
RispondiEliminagrazie, Maria, leggerti mi ha fatto bene.
RispondiEliminaFiorella Borin