lunedì 4 febbraio 2013

Quando le dissi brutta



Erano le dieci di mattina, di gennaio. Fu la sua epiglottide a palesarsi per prima. Sì, la prima volta che la vidi, urlava come una dissennata.  Aveva il naso schiacciato e la bocca aperta come la pestifera creatura di Quino. Eccoti qui, pensai guardando la sua bocca sdentata. Le dissi brutta, mi ricordi mia suocera. Che brutta non era, anzi. In quel brutta celai la tentazione della retorica, mia nemica numero uno. Non mi sdilinquii nella sequela di vezzeggiativi che fuoriuscivano di norma come prolungamento placentare amore che meraviglia, la bambina più bella del mondo, tesoro impareggiabile, una bambolina ecco, una bambolina, chiccolina di mammina tua e simili. Pensavo è finita, sono viva. Sedici ore di travaglio, di tribolazione, di lavoro duro, molte di più delle otto ore della fabbrica. Se otto ore vi sembran poche… Fui rimproverata dall’ostetrica, non si dice brutta!
Il ginecologo a un certo punto mi era salito sulla pancia dopo avermi bombardata di ossitocina: aiuta le contrazioni, stia tranquilla. Tranquilla un cazzo… ops, non si dice, ci sono i bambini, pardon la bambina.
La rividi il giorno dopo. Si mangia, cioè no, si poppa. Stesa nel letto e di fianco a una micetta (ahi, ci sono cascata) di tre chili e duecentocinquanta grammi attaccata al capezzolo. Dieci minuti e si cambiava attacco. Io ero scomodissima. Allora presi l’infante, la sistemai al centro del letto e misi il cuscino sulla sedia. Quindi la presi in braccio e mi assisi con lei come una madonna con bambino. Ciucciava senza convinzione e dopo pochi minuti si addormentò. Non ci fu verso di svegliarla né con la dolcezza dello sfioramento della guancia né con una più rude scossa sul culetto adeguatamente protetto. Nulla, continuò a dormire. Io la tenni lì, rimasi a guardare questa gattina che arricciava il naso e se ne fregava della mia sollecitudine. 
Mi presi una lavata di testa dalla suora per il rischio di non averla allattata a letto. L'avrei fatta cadere, e chi se lo sentiva il primario! Non le diedi retta, cosa mai sapeva lei di seni, capezzoli, bocche golose e poi subito sdegnose. Io avevo visto le donne di famiglia allattare sedute, con uno sgabello sotto un piede. Così s’allatta, madre! A chi madre non era. Poi scalpitai nell'attesa che arrivasse l’ora della poppata seguente.

Sei mesi dopo la esibivo come un trofeo. Conficcava i piedini nel mio fianco, infilandoli nella mia carne come palafitte in un fondale roccioso, fiera come una polena. Il mio braccio a fare lo spigolo della prua.

A quattro anni correva sui cornicioni della terrazza della nonna materna per fare prove di volo. Lei sapeva di poter volare, diceva. Non mangiava quasi niente. Forse per resistere alla forza di gravità.

A sei anni preparò una fuga verso una città immaginata, intravista tra le luci della collina. La cercammo con i cani poliziotti. La trovammo grazie a una segnalazione di un signore che girava per la campagna per osservare un gregge di pecore.

A quattordici anni  andò in un campeggio di aspiranti rivoluzionari, con la promessa solenne di non fare colpi di testa.

A quindici andò a Oxford con una organizzazione studentesca. Sul posto abbandonò i suoi compagni e si intrufolò in una sede anarchica, tutta ghirigori e murales (confessione di molti anni dopo).

A sedici/diciassette a Londra ( o a Oxford?) vendette borsette stile  regina madre.

A diciotto anni si rasò i capelli, dapprima solo la nuca, poi il vero colpo fu una cresta scolpita che da bionda diventò colorata.


A vent’anni o giù di lì, a Londra, la sua cresta era degli stessi colori delle aiuole di Kensington Park.
Ecco, questa è una breve e lacunosa sinossi.



Vive da una quindicina d’anni in Messico. Compone decime repentiste, zapatea sopra la tarima e scartabella archivi polverosi in musei e sacrestie alla ricerca di capocomici e fantasmi. Scrive  saggi  eruditi e originali.
I suoi capelli biondi sono lunghi. La vedo una volta all’anno, di passaggio. 

Avevo ragione (o no?) quando le dissi: brutta!



7 commenti:

  1. Retorica, io, ma quando ce vò... Mi hai commossa

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  2. Grazie, Isa. Lei, la brutta, mi manca sempre.

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  3. Maria, io credo che sia un meraviglioso dipinto di parole della tua bella Cate. Non ho parole, ma tengo strette le tue!

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  4. Brutta un cazzo! Oops non si dice, ci sono le bambine... bellissime entrambi.

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  5. Quanto mi piace Cate, qualche similitudine con mia figlia ma con una differenza non da poco.....Cate vola alto, la mia troppo basso e c'è rischio di schiantarsi....ma quanto le amiamo Grazie Maria.

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