martedì 10 gennaio 2012

Vendicarmi di Pablo Neruda (in tre tempi)





Il carciofo dal cuore tenero

si vestì da guerriero

impettito, eresse

una piccola cupola,

si mantenne

all’asciutto

sotto

le sue squame

attorno a lui

le verdure impazzite

si incresparono

divennero

viticci, infiorescenze,

bulbi commoventi,

dentro le zolle

dormì la carota

dai baffi rossi

la vigna

inaridì i tralci

da cui sgorga il vino

la verza

si diede a provar gonne

l’origano

a profumare il mondo

e il dolce

carciofo

lì nell’orto,

vestito da guerriero,

brunito

come bomba a mano,

orgoglioso,

e un giorno

a ranghi serrati

in grandi canestri

di vimini, camminò

alla volta del mercato

a realizzare il suo sogno:

la milizia.

Nelle filiere

mai fu tanto marziale

come alla sagra

Gli uomini

fra le verdure

con i loro bianchi camici

erano

i generali

dei carciofi

le file ordinate

le voci di comando

e la detonazione

di una cassa che cade

ed ecco

allora

arriva

Maria

con il suo cestino

sceglie

un carciofo

lei non ha paura

lo esamina, lo osserva

controluce come fosse un uovo,

lo compra

lo infila a casaccio

nella sua sporta

tra un paio di scarpe,

un cavolo e una

bottiglia

di aceto

finché

entrando in cucina

lo annega nella pentola.

Così termina

in pace

la carriera

del vegetale armato

che ha nome di carciofo

poi

scaglia a scaglia

spogliamo

la delizia

e mangiamo

la pacifica polpa

del suo verde cuore.   (Pablo Neruda)








“Questa qui dà i numeri” lo penserei anch’io, se non fosse che le mie letture (mi devo consolare ogni tanto dell' insipienza della mia scrittura) non mi avessero pilotato verso don Pablo. Leggo e rileggo la sua memorabile “Ode al carciofo”. Rimango a bocca aperta davanti al carciofo che emerge maestosamente sotto i miei occhi, impavido tenero guerriero. Una metalessi da fare paura. Quello che non riesco a digerire (ché di alimentazione si tratta) è la povera Maria, una cuoca pasticciona (butta con noncuranza il carciofo nella sua sporta tra scarpe, cavolo e una bottiglia di aceto), che arrivata a casa annega senza un biff lo scaglioso legume (passatemi il francesismo) in acqua bollente. Così com’è, cotto e mangiato, direbbe una nota signora degli schermi culinari.

Questo, no! Non posso sopportarlo. La poesia è pericolosa, le sue metafore mirano all’assoluto, agli archetipi che, una volta escogitati (devo ammettere divinamente dai poeti, quelli veri), ti si appiccicano addosso come la pece e… addio. Mi chiamo Maria, è noto, ma non vorrei rimanere imbrigliata nel prototipo della Maria dell’ode, con la quale condivido soltanto il gesto sicuro nella scelta del soldatino corazzato di viola e di verde.




Mi tocca quindi il bieco compito di distrarvi dalle affabulazioni estetiche di don Pablo e riportarvi nella prosaicità dei precetti asseverativi di una cuoca che aborre l’abborracciamento (notare l’allitterazione, nonché lo pseudo poliptoto) sulla preparazione del nobile ortaggio.

 Il carciofo, capolino del Cynara Scolymus, va acquistato solo se:

 Le sue brattee sono serrate, chiuse, e non lasciano intravedere il cuore che emerge

 Il gambo ha la lunghezza di circa 15 cm ed è turgido

 Le vostre dita, premendo la pancia del carciofo, avvertono resistenza (sennò che corazza è?) e non vuoto.




Quindi, una volta sul vostro piano di lavoro, cominciate a mondare il carciofo dalle brattee, (le poetiche squame) visibilmente più legnose. Proseguite senza usare il coltello che falcia senza pietà, insieme alle parti dure, anche le tenere (non si spreca come ho visto fare in Piazza Erbe a Verona dalla vecchina che mondava carciofi per la grassa borghesia cittadina, e come vedo fare, inorridisco, in cucine televisive). Il consiglio è quello di usare le mani, piegando le brattee una ad una: si spezzeranno nel punto in cui la ferrea durezza cederà a una consistenza più cedevole e dal colore che tende al giallino. Il carciofo si espugna assediandolo tutt’intorno. Una vera fortezza. Arrivati in cima, allora sì che potete segarne ciò che rimane e pareggiare.

Solo a questo punto affrontate il gambo che, a seconda delle preparazioni, richiederà un taglio diverso:

 Netto alla base

 Oppure lasciando due o tre centimetri.




I gambi non si buttano via: si possono pelare con facilità dato che il fusto è carnoso e striato longitudinalmente. Fate come fareste con un gambo di sedano, con un pizzico di decisione in più, per toglierne i filamenti. I gambi si cuociono insieme ai cuori. Sono la parte più dolce. Dimenticatevi di utilizzare i gambi, se i carciofi non sono freschi.

Tuffate i carciofi in una ciotola colma di acqua in cui avrete stemperato un paio di cucchiai di farina (se non volete che anneriscano, perché il carciofo non dimentica la sua natura guerriera e continua e sputare bile ferrosa. Il succo di limone, ottimo condimento a cottura ultimata, potrebbe intaccarne il sapore originario).

(continua…)

Nessun commento:

Posta un commento