giovedì 28 aprile 2011

Cronaca

Sorseggiano un tè alla menta
Affacciati sulla piazza
I visitatori di Marrakes
 La splendida
Inebriati di aromi
Sulle note cantilenanti
E preziose
Di un nobile halaikì.


Voci  stupefatte
Tra la folla variopinta
Attorno agli incantatori
Di serpenti e di anime.

Il contastorie avvolto
Nei suoi antichi panni
Col viso annerito dal fumo
Raccoglie dal selciato
Una mano di Fatima
Filigrana d’argento
Khamsa precipitata dal cielo
E una cannuccia di plastica.

Domani avrà
Una vecchia storia da raccontare
Sulla brulicante Jemaa el Fna.

mercoledì 13 aprile 2011

Incontro fatale


Ho incontrato la pastiera napoletana, mentre ero affacciata a una terrazza. Un incontro fatale, di quelli che ti ghermiscono e non ti mollano più. La terrazza era  anonima. Disadorna anziché no. Una terrazza circondata da palazzine senza lode né infamia, al primo piano di un edificio nel quartiere dalle parti della stazione di uno dei tanti paesi, frammezzati da giardini di agrumi, che animano la penisola sorrentina. Sotto la terrazza un cortiletto deserto, il retro di una pasticceria.
Il profumo delle zagare era penetrante e si mescolava con effluvi di cannella e sentori di vaniglia. Le mie narici si sono dilatate nell’accogliere la variegata traccia olfattiva e ho inspirato profondamente fino a sentire le mie viscere in estasi e la mia testa leggere leggera.
Mi sono guardata intorno per identificare la fonte di quell’onda di paradiso, che mi inebriava l’olfatto e permeava dolcemente ogni singola cellula del mio cervello, ma non vedevo alberi di arance o di limoni a portata d’occhio, né piante di Vanilla Planifolia, la sofisticata orchidea che elargisce i baccelli vanigliferi. Per non parlare dell’assoluta mancanza del prezioso Cinnamomum zeylanicum o del meno pregiato Cinnamonum Cassia, nessuna delle varietà conosciute di alberelli da spogliare della loro scorza per ricavarne la polvere sensuale e avvolgente dal colore bronzo rosato.
L’atmosfera si era fatta estraniante, allucinogena. Da una parte, profili e spigoli di edifici che nulla avevano di esotico, balconi con panni stesi e qualche geranio anonimo e ancora avaro di fiori, dall’altra il giardino incantato, reificato sulla scia del mio olfatto perturbato, in cui mi sentivo improvvisamente catapultata. Un landa favolosa in cui Oriente e Occidente si incontravano elaborando, come api operose, un meraviglioso nettare di sensazioni aeree.
E questa terra di mezzo che è l’Italia, e la penisola sorrentina in particolare, era il luogo dove si materializzava quel godimento dei sensi, tutto quel profluvio di seducenti promesse.
Sono stata sottratta alle mie fantasie dalla voce austera della padrona di casa che mi avvertiva di non espormi troppo a quell’ondata di odori, che non se ne poteva più, che, passate le feste, l’aria sarebbe ritornata più respirabile anche se sfogliatelle e pastiere si facevano tutto l’anno per i turisti. Un sospiro di malcelata insofferenza accompagnò queste parole che mi sembrarono quasi blasfeme.
‒ Pastiera? E che cos’è?
Non l’avessi mai fatto, ché la mia ospite cominciò a sfoderare le ricette di tutte le varianti della Pastiera Napoletana, un dolce antico che si era nutrito della curiosità dei viaggiatori e dei naviganti, della abilità delle monache di san Gregorio Armeno: il grano per festeggiare la dea Cerere e il ritorno dagli Inferi di sua figlia Proserpina, la ricotta tenera e fumante dei pastori  dei Monti Lattari, le uova, cellula primordiale della vita, lo strutto, il miele e lo zucchero, le arance e i limoni, frutti del giardino delle Esperidi, regalati dalla dea Terra a Zeus e Era nel giorno delle loro nozze, la vaniglia dal Messico o da Zanzibar, la cannella dall’India o dalla Cina. Insomma un vero dolce multiculturale, un crocevia di miti, storie e civiltà. E per questo inimitabile, perché si sa che gli innesti non possono che far bene alla pianta e produrre frutti nuovi e saporosi. Non siamo troppo dogmatici o integralisti, sebbene con la Pastiera ci si possa andare vicino.
Nella nostra odierna degenerata abitudine agli “aromi naturali”, che naturali non sono, di brioches, panettoni e colombe industriali, ritornare ai profumi primordiali potrebbe rivelarsi un’esperienza sconvolgente. Il segreto è la moderazione. Piccoli assaggi propiziatori prima di sacrificarsi senza riserve sugli altari della primigenia ebbrezza.
Per farla breve eccovi la ricetta della “mia pastiera”, alleggerita di contenuti troppo calorici per i nostri deboli fisici postmoderni, ma ugualmente paradisiaca.

Pastiera Napoletana (variante ipaziesca per 12 persone o anche più)

Pasta frolla:
350 gr. di farina 00
150 gr. di burro (o strutto)
150 gr. di zucchero semolato
4 tuorli d’uovo
1 pizzico di sale
1 pizzico di lievito vanigliato
1 cucchiaino da tè di scorza di limone grattugiato


Farcia:
250 gr. di grano cotto
2,5 dl di latte
1 ricciolo di scorza d’arancia
1 noce di burro
1 baccello di vaniglia (semi)
1 pizzico di sale
350 gr. di ricotta (preferibilmente di pecora)
150 gr. di zucchero
3 tuorli d’uovo
3 chiare d’uovo
50 gr. di acqua di fiori d’arancio
½ cucchiaino di cannella
1 cucchiaio raso di scorza d’arancia grattugiata

Procedimento:
Disporre a fontana la farina e collocarvi al centro il burro, tenuto fuori dal frigo. Intridere farina e burro fino a ottenere l’assorbimento del grasso: il composto avrà l’aspetto granuloso, simile al parmigiano grattugiato. Aggiungere i tuorli, lo zucchero, il sale, il lievito, e la buccia (solo la parte gialla) del limone, quindi impastare velocemente senza lavorare troppo, altrimenti si perderà il croccante della frolla. Avvolgere in pellicola e lasciare ½ h in frigorifero nella parte più fredda.

In un pentolino: latte, grano, buccia d’arancia, sale, burro e semi di vaniglia. Cuocere fino a ottenere una crema densa. Lasciar raffreddare.
In una capace ciotola lavorare la ricotta (setacciata) con lo zucchero, uno alla volta i tuorli d’uovo, l’acqua di fiori d’arancio, il grano cotto nel latte (eliminare la buccia d’arancia), la cannella e infine le chiare battute a neve ferma.

Stendere con un mattarello la pasta frolla (spessore 1cm circa) sulla carta da forno e depositarla in una teglia di 28/30 cm circa. Tenere alti i bordi della pasta fino all’orlo della teglia. Bucherellare il fondo con i rebbi di una forchetta e versare il composto di ricotta e grano. Decorare con strisce sottili di pasta (se si lavora su carta forno infarinata sarà più facile prelevarle e sistemarle sulla superficie del dolce). Spennellare con latte e rosso d’uovo sbattuti insieme le strisce di pasta.
In forno preriscaldato a 190° per almeno 1h, fino a quando toccando la teglia, la torta non tremerà e il composto sarà rassodato.
Far raffreddare e spolverizzare con zucchero a velo profumato alla cannella.

Per accompagnare: Moscato di Trani

giovedì 7 aprile 2011

Solo l'amore

Mamma, ho fame
Prendi, bambino mio, questo pezzo di pane.

Mamma, ho freddo
Ecco, bambino mio, la mia gonna controvento.

Mamma, ho sete
Acqua, figlio mio, non te ne posso dare.

Bevo una goccia di mare?
Poco, perché ti può far male.

Mamma, dov’è la nostra stella?
Non si vede, figlio, dorme nella nuvola che le fa da culla.

Mamma, dove ci porta questo barcone?
Figlio, amato giglio, andremo nel paese del sole.

Mamma, ci prende l’onda scura.
Abbracciami, bambino, e non aver paura.