giovedì 20 gennaio 2011

In direzione ostinata e contraria

Trovo sia triste, e anche un po’ patetico, andare in un agriturismo per vedere come si impasta e come si fanno dolcetti tradizionali, per scoprire le verdure dell’orto e i loro nomi. Credo sia anche troppo dispendioso, e i corsi negli agriturismi mi sembrano figli della falsa genuinità dei nostri tempi, anche quando le intenzioni originarie potrebbero essere buone. Accade così che oggi, in molte città, la spesa non si faccia più al supermercato, ma in boutique di prodotti similnaturali, su scaffali HighTech, disposti in bell’ordine. Ho provato a leggere l’etichetta di una gelatina di vino (a che servirà? Apprendo che si tratta di un dessert, da servire fresco), di Negramaro e di Chianti, per la precisione, e gli occhi mi si sono annebbiati per la ricchezza di elementi che con il vino hanno assai poco a che fare. Forse con la gelatina la parentela è più chiara. Il prezzo? Non sto neanche a dirlo. Il mangiar naturale sembrerebbe diventare una sciccheria che pochi potrebbero permettersi.
E così, mentre i poveri, la gente comune, le famiglie operaie fanno la spesa ai discount, dove la cioccolata spesso ha un retrogusto di polvere muffosa e i biscotti un sapore che attinge a tutte le fantasie della sintesi chimica odierna, la passata di pomodoro è cinese, la pasta… non ne parliamo, i ricchi, i borghesi che hanno stile e portafoglio, corrono in questi empori luminosi che ricordano, per la varietà e la disposizione delle merci, i tipici store del Far West, ma più levigati e stilizzati. Depurati dalla polvere degli stivali e dagli odori penetranti.  Da un momento all’altro mi aspetto che compaiano selle di cuoi appese agli angoli e tessuti  di cotonina a fiori, ripiegati sul bancone. Corrono gli sciccosi, dicevo, a comprare o a consumare sul posto cibo genuino e ben presentato. A me un tramezzino al pollo che costa 9 euri fa passare subito la fame.
E allora, invece di portare i pargoli urbanizzati in agriturismo, o a fare un bagno di pseudo genuinità in questi nuovi santuari alla moda, mi sembra più bello e decoroso insegnare loro un po’ di manualità in casa. No, non tutti i giorni. In occasione di feste o ricorrenze, per esempio. Alleveremmo figli meno imbranati, più consapevoli dell’esistenza dei cinque sensi, più capaci di prender in mano un oggetto senza sembrare papere timorose e, soprattutto, meno assuefatti al gusto standardizzato delle merendine industriali e agli hamburger dal sapore di plastica  e ultracalorici dei fast food. Forse li renderemmo più resistenti alle sirene delle mode.

Suggerisco un esercizio: fare insieme gli Occhi di Santa Lucia.
Berrebbero le vostre parole, i vostri gesti, le vostre pause, le vostre occhiate, il vostro calore. Si ciberanno di passione e sapere. Quante cose si imparano cucinando! Aveva ragione Suor Juana Inés de la Cruz: “Se Aristotele avesse cucinato, molto di più avrebbe scritto”. E suor  Juana non era una suora qualsiasi, ma un astro splendente della poesia messicana: a tre anni aveva già imparato di nascosto a leggere e, in seguito, in sole venti lezioni apprese magistralmente il latino ( ringrazio Caterina per avermela fatta conoscere).
Sto divagando, è vero, ma l’etimologia del termine mi fornisce un alibi di ferro: di-vagazione, vagare qua e là, divertirsi, uno dei benefici privilegi dell'Otium.

Occhi di Santa Lucia
Ingredienti:
Farina 00     500 gr.
Zucchero     50 gr.
Olio             0,1 dl
Uova           2
Mezza bustina di ammoniaca per dolci
Latte           0,1dl circa
Buccia grattugiata di 1-2 limoni
Pizzico di sale  1

Per la glassa o giulebbe
Zucchero    200 gr.
Acqua         1 dl
Albume      1

Preparazione
Disporre a fontana la farina sulla spianatoia. Metterci le uova col pizzico di sale, prima battute con una forchetta. Aggiungerci lo zucchero, la buccia del limone, l’ammoniaca disciolta nel latte tiepido e impastare fino a ricavarne una pasta liscia e di media consistenza. Lavorare la pasta in cilindretti dallo spessore di ½ cm e ricavarne dei tarallini del diametro del vostro indice attorno al quale avvolgerete il “lucignolo”. Mettere su una teglia foderata con carta forno e infornate a 200°. Dopo tre minuti abbassare il forno a 170°. Pochi minuti basteranno a renderli dorati, Estrarre dal forno.
Mentre i tarallini (occhi) si raffreddano e i bambini stanchi correranno ai loro divertimenti consueti, potreste occuparvi della glassa. Operazione delicata e non molto semplice.

Glassa cotta (più antica ed elegante nella resa)
Mettere in un pentolino lo zucchero e l’acqua. Se non dovesse sciogliersi del tutto, col calore del fuoco (moderato) lo zucchero si scioglierà benissimo, rimestando un po’ con un cucchiaio di legno.. Fate cuocere lo sciroppo fino a quando, prelevandone una goccia col solito cucchiaio questa “filerà” schiacciata tra l’indice e il pollice. Spegnete subito e trasferite in un recipiente più grande (dovrà contenere anche i tarallini dopo!). Battete con vigore con una forchetta (non vi preoccupate se si addenserà) e poi con un frullino elettrico, aggiungendo qualche goccia di limone e uno o due cucchiaini di albume battuto a neve. Il limone dà il profumo e l’albume un bianco lucido. Sarà pronta quando sarà bella liscia.

Se quest’ultima parte vi mette in ansia, omettete di fare ‘sta benedetta glassa cotta e fatela cruda così:

Due albumi battuti a neve ben ferma.
250 gr. di zucchero a velo (dose approssimativa per la variabile grandezza delle uova).
Sbattete in un ciotola abbastanza capiente, fino a farne una glassa liscia e consistente in cui tufferete i tarallini (Occhi), rigirandoli con delicatezza. Prima di calare i tarallini, fate la prova: se la glassa tende a cadere dalla superficie e a depositarsi alla base vuol dire che è troppo liquida! Aggiugere in questo caso, ancora un po’di zucchero.
Dopodiché li disporrete, avendo avuto cura di bagnarvi le mani con acqua, a mucchietti di due/tre su un’asse di legno e lascerete asciugare almeno per una notte.

Contrariamente a quello che sembra gli Occhi di Santa Lucia non sono eccessivamente dolci, perché nella pasta c’è pochissimo zucchero e la glassa su ciascuno di essi sarà meno calorica di una caramella!




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