domenica 30 gennaio 2011

Banani, husky e profumo di spezie orientali.

Stamani, contrariamente al solito, ho fatto una lunga passeggiata nel mio quartiere. Un quartiere popolare di villette a schiera tra le quali si levano, come spioni un po’ disorientati, alcuni palazzi circondati da grandi spazi verdi, immersi nella luce uggiosa e livida che l’inverno regala generosamente alla val padana. Attorno, un diramarsi di viottoli, stradine e stradicciole tra siepi di lauroceraso, gelsomini (addormentati), e perfino qualche pianta più esotica, come un banano.
Mi fa tenerezza il banano in esilio: le sue grandi foglie sono accartocciate, pesanti, gravide di gelo e umidità. Resiste stoicamente anche alla stupidità di chi l’ha deportato in queste regioni.
E stamattina, contrariamente al solito, non ho incontrato nessun cane di grossa taglia, sguinzagliato e libero di deporre le sue deiezioni ovunque.
Per me che ho paura dei cani, e ancor di più di alcuni loro padroni, è stata una bella sorpresa. In genere, alcuni abitanti delle villette, forse pensando di essere in grandi parchi nobiliari e non in pochi miseri metri quadri di terra, si fregiano di mastodontici cani blasonati e piante esotiche che danno un’immediata sensazione di straniamento.
Può capitare facilmente di incontrare nell’estiva afa stagnante della pianura padana un povero husky con gli occhi accartocciati come le foglie del nostro amico banano. Nati per trascinare slitte sui ghiacci dell’Alaska, si tirano dietro un carico oneroso di umana ottusità. So di un rotweiler di nome Rea che vive con la sua padrona in un appartamento di circa settanta metri quadri, a pochi passi da casa mia, e condivide la magione anche con un gatto, il quale è perennemente costretto a vivere sopra un armadio. Non ardisce scendere per ovvie ragioni. Farebbe la fine delle gambe del tavolo che, un bel giorno, rosicchiato a dovere dalla placida Rea, pare sia crollato al suolo fragorosamente, mentre attorno al tavolo erano seduti i padroni e alcuni amici a cena. Gli amici avevano preso la precauzione di tirare su le gambe sotto il loro sedere e ingollavano amari bocconi in quella comoda posizione. La Rea è una vera Regina di Cuori. La sua crudeltà, come la sua rabbia, è archetipica.
Forse s’è capito perché, pur temendo istintivamente una cane, la paura mi passa dopo aver conosciuto il padrone. O si accresce, dipende dai casi.
Sono tornata a casa ritemprata da tutte le emozioni che la bella passeggiata ha evocato, ma la gola ha cominciato a pizzicarmi, a stizzire le mie corde vocali ispessite da anni di brontolii professionali e casalinghi.

È venuto il momento della mia bevanda anti mal di gola. L’ho preparata pregustandone i profumi,  ho sorriso al pensiero  che anch’io stavo ricorrendo all’esotico per consolarmi dell’avversa geografia residenziale come il   padrone del giardino col banano estraniante, e l’ho sentito fratello.


Tisana (o decotto?) per gorgheggi virtuosi.
Acqua 2,5 dl
5 grani di pepe nero
5 chiodi di garofano
1 pezzo di stecca di cannella
2 frutti di anice stellato
2 fettine di zenzero fresco
1 cucchiaino (o bustina) del vostro tè preferito
1 cucchiaino di miele o zucchero (facoltativo)

Mettere sul fornello un pentolino con l’acqua e tutti gli ingredienti ad eccezione del tè. Portare a ebollizione. Far bollire per un paio di minuti.
In una tazza mettere il tè e aggiungere la tisana-decotto. Filtrare se necessario.
Vi assicuro che due tazze al giorno stoppano un mal di gola che inizia a farsi sentire.

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