giovedì 16 dicembre 2010

Una notte come un'altra




Nel grigiore argenteo della notte, illuminata da una luna beffarda, la casa si stagliava su una landa di rari alberi scheletriti i cui rami, nettamente disegnati e sottratti all'oscurità dalla brina, facevano pensare che non avrebbero più rivisto la primavera.
L’uomo procedeva guardingo. Dal canale, che scorreva lateralmente al prato, si stava alzando una cortina di umidità spessa, lattiginosa, che presto si sarebbe insinuata tra i rami, fino ad appannare la luce vivida di quella luna invernale.
La pianura, di giorno, regalava a quello scenario un orizzonte sconfinato. Di notte, il respiro della terra, dilatandosi nella vastità oscura, la rendeva infida e, chi per caso si trovava a camminarci attraverso, aveva l’impressione di poggiare un piede sull’orlo dell’abisso.
L’uomo si disse che doveva far presto. Doveva raggiungere la casa. Il freddo gli stava stritolando le ossa, ma non poteva accelerare di più. Cominciò a temere di rimanere lì, nel gelo della notte. 
‒ Avessi gli occhi di una volta!  
In realtà, i suoi occhi ci vedevano bene, ma la bottiglia che stringeva in mano era quasi agli sgoccioli, e il vino, dopo avergli regalato pochi minuti di ingannevole tepore, gli aveva appannato la vista, la ragione e anche la stabilità.
Il terreno tutt’intorno era ricoperto dall’erba ormai rinsecchita e resa sdrucciolevole da un sottile strato di ghiaccio. L’uomo procedeva con una mano in tasca e l’altra protesa nel vuoto a ritrovare l’equilibrio.  Istintivamente tirò fuori anche l’altra mano e allargò il braccio. L’uomo ballava nella notte un valzer antico con la grazia di una marionetta i cui fili si erano chissà come ingarbugliati.
‒ Ohhhhps. Cristo, come si scivola ‒ bofonchiò strascinando le parole che gli uscirono impastate dalla gola. Rischiò di fare una spaccata come la ballerina con la molla rotta che aveva sul tavolino della sua casa. Una ballerina di plastica con le gambe snodate, che aveva raccattato in una delle sue scorrerie tra i mucchi di rifiuti che i cittadini onesti e beneducati del paese depositavano lungo il canale.
Li vedeva lui, dalla sua casa, arrivare in macchina, frenare bruscamente e abbassare il finestrino della macchina. Ripartivano sgommando prima che il tonfo del sacchetto lanciato si potesse udire distintamente. Li vedeva, lui, i buoni cittadini.

Alzò gli occhi dal terreno verso la casa, misurando la distanza che lo separava dal suo rifugio. Vide una luce che si spense subito attraverso le finestre sgangherate.
‒ E vuoi vedere che qualche furbo ha pensato di sistemarsi in casa mia ! Ci penso io a prenderlo a calci.
E accennò con la gamba il movimento della pedata, ma poco ci mancò che finisse lungo lungo per terra. Arrivato sulla soglia si trattenne un momento. La sbornia gli stava passando, era in grado di ragionarci su.
La porta era socchiusa, e quel che vide non gli piacque affatto. Un uomo anziano e una donna molto più giovane parlavano fitto fitto e ridevano sommessamente. I due stavano cercando di accendere un moccolo di candela e a terra giacevano alcuni zolfanelli spenti, ma una candela era già accesa. Sembravano contenti.

Ma lui non lo fu affatto. Non voleva trascorrere la vigilia con degli sconosciuti. Voleva stare da solo, mangiarsi la pagnotta imbottita di formaggio, che aveva in tasca, e finire di scolarsi in santa pace quel fondo di bottiglia.

‒ Che ci fate voi qui, questo posto è mio.
‒ Veramente era aperto. 
La voce di lei risuonò dolce, anche se rallentata, pausata, come se trasportasse un peso e dovesse riprendere fiato.
Il vecchio non rispose, ma si parò davanti alla donna, stendendo il braccio e allungando un ramo nodoso che gli faceva da bastone.
‒ Che cavolo vuoi difendere tu che manco una candela riesci ad accendere! ‒ disse l’uomo e sbottò in una risata, mentre inavvertitamente con la mano spinse più giù l’involto nella tasca. Lì le mani nessun altro ce l’avrebbe messe. Questo era sicuro. Con l’altra brandì la bottiglia in avanti. Fece per dire qualcosa, ma non gli venne niente, neppure una smadonnata delle sue.
‒ Grazie, ‒ disse il vecchio che aveva abbassato il bastone ‒ un sorso è proprio quello che ci vuole con questo dannato freddo. ‒ È casa tua questa? Ci possiamo stare anche noi? Solo per poche ore ‒ e guardò la donna. ‒ Presto ce ne andremo.
L’uomo, preso in contropiede, si arrese con la bocca spalancata dalla quale nessuna parola aveva fatto in tempo a uscire,  gli allungò la bottiglia e gliela lasciò giusto il tempo di ingollare una sorsata.
Avrebbe voluto obbiettare che certo, quel posto era la sua casa. Ma un residuo di onestà lo trattenne. Meglio non dire loro che quella non era affatto casa sua. Aveva scardinato la porta all’inizio dell’inverno per entrare, e nessuno era venuto a protestare. In fondo anche lui era un ospite in quella dannata catapecchia.
Non aveva faticato molto, la porta era già sgangherata di suo. Lui aveva fatto un po’ di pulizia, cacciato i topi. Beh, non tutti. Con qualcuno era diventato amico, ‒  e sono anche loro creature di Dio ‒ e veniva ogni tanto a ripulire il tavolino dalle briciole. Anche il tavolino l’aveva raccattato da un cassonetto. Di formica buona. Solo un po’ di ruggine su una gamba. Stile svedese.
Son proprio matti a buttare tanta roba, però meglio così, aveva pensato portandoselo a casa. Nel grande cassone dei rifiuti si trovava di tutto, anche qualcosa da rivendere. A lui bastava un mobilio essenziale. Un giorno aveva trovato anche una chitarra, senza le corde, con il ponticello rotto. Graffiata. Se l’era portata all’orecchio e aveva poggiato l'orecchio al foro della cassa armonica. Silenzio. Mentre l’allontanava da sé, aveva percepito un’eco lontana. Il ricordo di una strimpellata. “Mi sont on fioeu de sciambola e ho sciambolàa de bon, chi gh’era gh’era ‘ndava ben vincenz marocc terrun…”. Aveva messo la chitarra in un angolo della catapecchia. Dava un certo tono alla casa, aveva deciso gonfiando il petto.
‒ Per me potete restare, tra un paio d’ore è mezzanotte, ma qui niente banchetto di Natale.
 La pagnotta col mascarpone l’avrebbe mangiata dopo. Dopo che se ne sarebbero andati quei due là.
Il vecchio e la donna rimasero uno vicino all’altra. Veramente ora lui parlava e lei rispondeva a monosillabi. Delle loro voci gli giungeva solo l’eco indistinta.
‒ Con sti’ moccoli non si combina nulla. Vediamo di accendere un fuoco. Pensava che facendo qualcosa avrebbe ingannato lo stomaco che mandava colpi imperiosi e costringeva la mano a sfiorare il fagotto appetitoso nella sua tasca. Buono, buono. Si tratta di aspettare solo un paio d’ore e poi… Inghiottì a vuoto, uscendo nel buio. L’arte di perdere tempo era cosa sua.
 Gli ci volle un po’ a ritrovare sulla scarpata del fosso un mezzo bidone arrugginito. E meno male che l’aveva visto di giorno, proprio sotto quel pioppo stenco che ora brillava, intirizzito come i suoi fratelli dalla brina. Lo spinse a terra e, facendolo rotolare a calci, lo portò in casa.
‒ Fatti da parte, che ci penso io, altro che moccoli ‒ disse al vecchio che s’era fatto avanti per aiutarlo.
Raccolse un mucchio di vecchi giornali, di quelli che usava mettere sotto la camicia per parare il vento assassino che si infilava a ferirgli le costole. Glieli metteva da parte il barbiere, anche se lui non era più suo cliente da un pezzo. Prese la sedia di paglia sfondata da sotto il tavolo e con un calcio ben assestato la ridusse in pezzi. La sedia ci aveva messo del suo, le gambe bucherellate dai tarli non opposero resistenza. Solo un crepitio attutito dall’umidità che teneva compagnia alle bestioline invisibile e voraci. Almeno qualcuno aveva avuto di che banchettare.
‒ Adesso sì che ci serve il moccolo. Da’ qua. ‒ E con la fiammella del cero accese la carta messa sotto i pezzi della sedia sistemati a piramide. ‒ Speriamo che non caschino, il fuoco ha bisogno d’aria. Adesso vedrai che bel fuoco.
La fiammella violacea lambì e consumò quasi del tutto la carta, poi uno sfrontato ciuffo di paglia, rimasto appeso a ciò che restava del telaio della sedia, si infiammò e sprigionò una fiamma gialla, piena e allegra che si impadronì di un pezzo di legno, e poi fu un fuoco, un fuoco vero.
L’uomo si sollevò. ‒ Ecco, finché dura, dura. Di sedie non ce n’è più. Non c’è più niente. E diede un sorso alla bottiglia. Poi la poggiò a terra. ‒ La tengo d’occhio, non ti credere ‒ disse rivolta al vecchio che intanto stava trascinando vicino al fuoco un cartone aperto sul pavimento. Lo vide stenderci sopra il suo mantello. Beh, non se la passano meglio di me, pensò l’uomo. Il mantello era strappato in più punti. Tracannò ancora un sorso dalla bottiglia. ‒ Piano, devi fartela durare fino a… Cadde addormentato mentre il vino gli stava ancora scendendo nello stomaco. La pagnotta era rimasta nella tasca che cominciava a macchiarsi dell’unto del mascarpone.
L’uomo si svegliò di soprassalto. Aveva sognato che gli rubavano la pagnotta. In realtà qualcuno cercava di entrare e dava spintoni alla porta sgangherata.
‒ Dannazione, chi c’è ancora?
La donna era stesa sul mantello del vecchio che non la lasciava nemmeno con lo sguardo. Aveva le mani sulla pancia, ma il volto soffuso di felicità. I due sembravano assorti, indifferenti a quanto succedeva intorno. Il braccio del vecchio circondava le spalle di lei.
L’uomo si mosse verso la porta, ma non fece in tempo ad arrivarci che entrarono tre ragazzi. Tre sballoni. Uno aveva i capelli rasati sui lati della testa e una cresta variopinta dritta sulla sommità. Gli altri due avevano anelli al naso e alle sopracciglia. I loro stivali  grondavano  borchie e fango. Quello con la cresta disse:
‒ Abbiamo un problema. Possiamo telefo…
La risata dell’uomo sgorgò come una fontanella, continua e crescente, si ingrossò strada facendo, strozzandosi a tratti nella gola riarsa dal vino, e rotolò sul ragazzo.
‒ Giovanotto, hai capito dove sei? Il telefono? E giù a ridere a cascatella singhiozzante trattenuta nella gola. Non facciamo casino che ci ho ospiti. Fuori dalle balle. Che non è ora di rompere i marroni ‒. Questi figli di papà che facevano gli alternativi. Con vestiti stile finto povero. Ve li do io i vestiti per voi, a gratis. A spintoni li spinse fuori della porta. ‒ Fuori a divertirvi! Il telefono…
Si udì il rumore del tentativo di mettere in moto un motore. Due, tre rombi che si persero nel buio, poi più niente.
L’uomo richiuse la porta e andò verso il bidone. Che strano, c’era ancora qualche pezzo di legno non ancora raggiunto dalle fiamme. Ma non sarebbe durato. Si ricordò della carcassa della chitarra e la prese per buttarla nel fuoco se ce ne fosse stato bisogno. L’unica suppellettile della sua casa.
La musica che non aveva mai suonato sembrò arrivare da lontano, da un tempo mai stato.
‒  Che me ne faccio, quand’anche avesse le corde non saprei suonarla. Però mi piaceva. ‒ disse con qualche esitazione. La pensò al passato, mentre la soppesava con le mani, come l’avesse già buttata nel fuoco. Il gesto fu sbrigativo, senza pentimenti, solo un po’ di malinconica nostalgia per ciò che non era stato. Si girò a sincerarsi che la porta fosse di nuovo ben accostata. Non si sarebbe mai chiusa come una volta. Però meglio accostarla, spingere finché si poteva. Il legno ingrossato grattava il pavimento quando la porta si apriva, così avrebbero sentito se qualcuno voleva entrare. Fu allora che sul pavimento scorse un sacchetto di plastica bianca. Lo aprì con avidità e ne estrasse tre piccoli involti. Tre pacchetti con un nastrino rosso.
‒ Lo dicevo io, classici figli di papà. Saranno i regali di Natale per le morose. Li hanno mollati per terra e non se ne sono nemmeno accorti. Maledetti borghesi. I travestimenti non mi fanno fesso.
 Non ebbe nemmeno la curiosità di vedere cosa ci fosse in quei pacchetti. Che gliene fregava. Con un piede li spinse uno ad uno verso la coppia che ora lo guardava senza dire una parola.
‒ Prendeteli voi, un regalo per la vostra signora. ‒ Boh, la vostra signora! Magari non era così, ma non voleva impicciarsi.
Il vecchio sollevò i pacchetti uno alla volta e li depose in bell’ordine davanti alla ragazza che si era girata su di un fianco e aveva messo un braccio a nicchia, come a proteggere qualcosa. Non aveva più il viso contratto, sorrideva verso il basso, verso un fagotto posato sul pavimento. Prima non c’era.
‒ Sembrate un presepe. E così abbiamo anche noi il nostro altarino. Adesso voglio dormire, quando il fuoco sarà finito, bisognerà muoversi, altrimenti domani ci troveranno stesi come topi morti lì fuori sul fosso. Se mai ci troveranno.‒ sghignazzò l’uomo. Se ne andò in un angolo, si sedette a terra con le spalle al muro con l’intenzione di riacchiappare il sonno perduto. Nel sedersi la tasca rigonfia gli riportò alla mente la pagnotta col mascarpone. La tirò fuori e fece per addentarla. 
‒ Magari mi addormenterò meglio a sacco pieno. 
Fu allora che nella luce fioca, che presto si sarebbe spenta con l’ultimo moncone di gamba della sedia, sentì gli occhi del vecchio su di lui. La mano si fermò a mezz’aria.
‒ Ho capito, avete fame.
Il vecchio, imbarazzato, distolse lo sguardo.
‒ Toh, prendi e danne un po’ anche a lei. Ha una faccia esausta quella poveretta. Il mascarpone è buono, nutre. A me la fame mi è passata. Alé ‒ disse e risprofondò in un sonno agitato e rumoroso.


Il suono della sirena dell’autobotte dei pompieri squarciò il silenzio di quell’alba brumosa
Il freddo era pungente, gli agenti si davano manate sulle braccia e saltellavano per riscaldarsi un po’.
Il capo dei pompieri li squadrò tutti.
‒ Allora non si sa chi ha chiamato. Nessuno di voi ha preso ‘sta telefonata!  Mi hanno detto che era una voce d’uomo che ha borbottato qualcosa, …di dover andar via, …di una donna che aveva partorito, di un bambino. Mah! Secondo me, è stato l’autista del camion per la spazzatura quando è venuto a prelevare i cassonetti qui vicino. Ha visto il fumo e ha chiamato. Poi glielo chiediamo.
‒ Capo, ‒ disse un vigile ‒ l’importante è che ce l’abbiamo fatta.
‒ E le persone dentro?
‒ Quali persone, capo? Qui c’è soltanto un barbone che dormiva alla grossa in un angolo. Per me non ha sentito nemmeno la sirena. Quando lo abbiamo scosso, si è svegliato di soprassalto, dicendo che la pagnotta non l’aveva rubata, di lasciarlo stare, che il droghiere è un suo amico, che lui non ruba. Che l’ha data al vecchio e alla ragazza che era con lui. Un mezzo matto, forse stava sognando. Si è salvato per miracolo. Sì, proprio per un miracolo.

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